Dalla Sinagoga al Tevere. La corona di fiori depositata ieri dal presidente della Lazio Claudio Lotito sotto la lapide delle vittime dei deportati di Roma è filata via a pelo d’acqua, scatti divenuta virali sui social network, assieme a uno dei mazzi di fiori con il fiocco biancoceleste, ritrovato a terra vicino al Tempio Maggiore, dove si legge la frase di Anna Frank: «Non penso a tutta la miseria ma alla bellezza che rimane ancora».

La bufera mediatica per gli adesivi con il viso di Anna Frank con la maglietta della Roma distribuiti dal tifo laziale all’Olimpico con il Cagliari non accenna a rallentare. Il tentativo floreale di Lotito per ridimensionare il caso è stato respinto da alcuni membri della comunità ebraica (i cui vertici erano assenti nel passaggio della dirigenza laziale alla Sinagoga), che replicavano così – riferisce l’Ansa – anche a una telefonata dello stesso Lotito (intercettata da un passeggero sul volo Milano-Roma e riportata da Il Messaggero), con l’espressione «famo sta sceneggiata», sulla visita di riparazione nel luogo di culto ebraico. Sul quotidiano romano spuntava il virgolettato, Lotito si arrampicava sugli specchi, promettendo querele e denunciando l’aggressione mediatica nei suoi confronti e della Lazio, definita unica società a ribellare all’esteso potere in Italia delle curve razziste.

E un assist per il presidente arrivava dal parlamentare del Pd Dario Ginefra, vicino di posto di Lotito sull’aereo che da Milano volava verso la Capitale. «Lotito all’atterraggio a Roma cercava disperatamente un contatto attraverso i suoi col rabbino capo di Roma che però era a New York: questo è vero, ho sentito la ricerca di un contatto. La frase facciamo questa sceneggiata, invece io non l’ho sentita», spiegava Ginefra all’Ansa. Solo più tardi è spuntato fuori anche l’audio della telefonata di Lotito (su Il Messaggero.it). E la sua posizione è diventata indifendibile. Dello stesso spessore degli adesivi antisemiti fatti circolare allo stadio da un pezzo del tifo laziale. Tanto che la presidente della Comunità ebraica romana, Ruth Dureghello, si è detta «inorridita dalle sue parole».

Per lui, un pomeriggio da solo, al centro del quadrato. «Se continua ad attaccare gli altri, a pensare che le cose che fa lui sono sempre giuste e sono le migliori, per non dire le uniche, non fa il bene del sistema del calcio», gli mandava a dire il presidente del Coni Giovanni Malagò, che Lotito aveva accusato di parlare senza sapere i fatti, dopo il caso-adesivi. Malagò aveva definito «singolare» la decisione della dirigenza laziale sull’apertura della curva Sud al tifo con biglietto a un euro, con la Nord squalificata due turni per razzismo. E per Lotito pochissimo affetto anche dal ministro dello Sport Luca Lotti (Mattarella il giorno prima aveva bollato le figurine di Anna Frank come «atto disumano»), mentre il capo della polizia Gabrielli ha definito la vicenda «vomitevole ed è ancora più vomitevole che qualcuno si sia stupito per il clamore che ha suscitato. La tragedia del popolo ebraico, della Shoah e il fatto che possano essere utilizzate anche solo lontanamente come oggetto di scherno mi provoca dolore fisico».

Intanto le indagini della polizia delineano i fatti dell’Olimpico. Sedici persone identificate, anche tre minori, di cui uno di soli 13 anni che non è imputabile. E nelle stesse ore gli «Irriducibili», il segmento ultrà più intollerante del tifo laziale – dopo aver ricordato che l’immagine di Anna Frank con la casacca della Roma sia un episodio di scherno che non costituisce reato -, rinunciavano alla trasferta di campionato a Bologna (giocata ieri sera), per non «essere complici del teatrino mediatico». Mentre i calciatori del club di Lotito in Emilia – per un tempistico incastro del destino, nello stadio dove il settore ospiti è dedicato alla memoria di Arpad Weisz, allenatore ungherese di origini ebraiche degli anni Trenta vittima dell’Olocausto dopo due scudetti vinti con i bolognesi – sono scesi in campo per il riscaldamento pre gara con l’immagine di Anna Frank su una maglietta bianca con scritta «No all’Antisemitismo», per poi leggere un passo dal Diario.

Un minuto di silenzio e il gioco può avere di nuovo inizio.