Da quando, il 14 novembre scorso, l’appena 24enne Camilo Catrillanca, un weichafe («guerriero» della causa mapuche) della comunità di Temucuicui, nell’Araucanía, è stato ucciso dal Comando Jungla – il corpo antiterrorista dei carabinieri cileni -, la protesta dei mapuche e dei loro alleati non si è più fermata.

In soli 8 giorni, a partire da quel 14 novembre, lo stesso ministero dell’Interno ha contato più di cento azioni di protesta: una reazione molto più forte di quelle provocate da altri casi emblematici di omicidio di leader mapuche, come quelli di Álex Lemún (nel 2002) o di Matías Catrileo (nel 2008).

Il ministro dell’Interno Andrés Chadwick ci aveva provato subito a ridurre l’assassinio a «un episodio di delinquenza comune, senza alcun nesso con il cosiddetto conflitto mapuche», accreditando la tesi che Camilo sarebbe stato coinvolto in un furto di veicoli e poi raggiunto da un proiettile durante lo scontro a fuoco tra ladri e carabinieri.

Ma a smentire l’ipotesi di una sparatoria è stata, il 19 dicembre, l’apparizione di un video registrato dal sottufficiale Patricio Sepúlveda in cui si sentono dodici spari – e nessuna risposta – diretti contro il trattore che Camilo guidava tornando dai campi, accompagnato da un adolescente, insieme a frasi come: «Dobbiamo beccare i coglioni che stanno sul trattore».

A calmare le acque non è bastato l’arresto dei quattro carabinieri coinvolti, né la rinuncia dell’intendente dell’Araucanía Luis Mayol e neppure la rimozione del comandante dei carabinieri Hermes Soto Ista.

I mapuche a questo punto vogliono molto di più, e di sicuro ben più delle scuse del nuovo comandante Mario Rozas – liquidate come una “barzelletta” – o dell’invito alla famiglia Catrillanca, subito respinto, a riunirsi con il presidente Piñera: come ha spiegato il padre di Camilo, Marcelo, nessun dialogo con il governo sarà possibile finché non si procederà al ritiro dei militari dal territorio ancestrale.

Le richieste dei mapuche comprendono, in primo luogo, le dimissioni del ministro Chadwick, considerato il responsabile politico dell’assassinio, come spiegano in una lettera consegnata ieri al Palazzo della Moneda, nel primo dei due giorni di mobilitazione convocata dai leader mapuche a livello nazionale. E, insieme alla rinuncia di Chadwich, una sessione speciale presso la Camera dei deputati in cui esporre le loro principali rivendicazioni: giustizia piena e completa sul caso Catrillanca, smilitarizzazione immediata del territorio, conformazione di una commissione incaricata di fare chiarezza sulle cause storiche del conflitto. E, a un livello ancora più alto, la restituzione integrale del territorio ancestrale usurpato dallo Stato cileno e l’avvio di un processo verso l’autodeterminazione mapuche. Non senza la denuncia di un estrattivismo indiscriminato a cui è esposto il Wallmapu, invaso da progetti forestali, minerari, idroelettrici e termoelettrici, realizzati con capitali cinesi, giapponesi, statunitensi, canadesi, europei e naturalmente cileni.