Buio. Lei ticchetta al cellulare. Il gatto scende dal letto mentre lei lo interpella: «Nonno, dove vai?» (in altra scena: «L’ho chiamato così perché è la reincarnazione di mio nonno»). Dalla portafinestra un rumore, poi si apre. «Porca puttana, chi cazzo sei?» accendendo la luce. Un grosso uomo pelato con indosso, à poil, una casacca spessa di lana, tipo peruviana, con cappuccio e tasca frontale, si avvicina al letto rassicurando la padrona di casa: «Sono io, sono io». «Mi hai spaventato di brutto, non ti sopporto quando fai così». Il pelato fa avances maldestre con annessa dichiarazione d’amore sui generis: «Ti piace quando ti tocco i piedi, oggi pensavo a noi, ho bisogno che ti prendi cura di me, io ti amo, ho tanto bisogno di te…». «Chiudi quella cazzo di bocca, ok, ti scopo ma poi te ne vai, non dormirai qui stanotte».

Lui scodinzolante: «Va bene, perfetto». E lo fanno. Stacco. Hanno cambiato stanza, lei è riversa prona su un tavolo traballante e lui, dentro di lei, urla «Io sono il guerriero di dio!». Stacco. Lui russa nel letto accanto a lei che lo guarda afflitta. Un mese dopo. La routine di coppia con Eric è a base di eccessi: lui sotto cocaina le propone di stare seduti a leggere un libro, concentrati. Lei non accetta e, piuttosto, lo accusa di avere un serio problema di droga, mentre inghiotte una pasticca. «Che cos’è quella?» «La droga che devo prendere per stare con te». Stacco. Una scopata che lui accelera al suono del clacson della madre, venuta a prenderlo per andare al centro commerciale. Lei è basita. «Se adesso te ne vai con tua madre non sei altro che uno sfigato». «Tu sei incasinata come me, solo che io ho le palle per ammetterlo. Mamma, andiamo». Lei, dal finestrino, in risposta alla madre: «Lui non è un mio amico, il suo sperma è ancora dentro di me. Eric è finita». Poi rientra a casa in lacrime.

Mickey è la protagonista femminile (interpretata magistralmente dalla bella e tenebrosa Gillian Jacobs) della serie tv Love ideata, scritta e prodotta da Judd Apatow. Mickey ce le ha tutte: è alcolista anonima che fallisce il metodo dei dodici passi trasgredendo la sobrietà dopo 374 giorni e venti ore; ha rapporti sessuali con il suo capo (un pretestuoso psicologo presuntuoso che risponde in diretta radiofonica alle domande degli ascoltatori) – che la disgusta e che disprezza sul piano umano – solo per tenerlo in pugno con la scusa del ricatto; sparolaccia dal primo momento in cui apre gli occhi fino a quando sviene a faccia in giù su un letto qualsiasi, alle volte il suo; è talmente terrorizzata dalla possibilità di provare sentimenti che combina un appuntamento tra la sua coinquilina provinciale e Gus, lo sfigato nasuto occhialuto, tutor in una serie tv di streghe per adolescenti, troppo loser per dargli credito lei stessa.

È una che dice «non siamo tutti scagnozzi?» come auto giustificazione di licenziare qualcuno conto terzi. Che mangia gli spaghetti da sola alle due di notte seduta sul piano di lavoro della cucina. Che dichiara ad una folla di invasati religiosi «Sperare nell’amore ha rovinato tutta la mia vita», vestita di un costume intero scollato sulla schiena e sopra un paio di jeans. Che finisce all’alba con le ciabatte sopra i calzini di spugna in un supermarket 24hours senza aver ricordato di prendere il portafogli e parte con un attacco isterico al negoziante orientale: «Amico, vivo a due isolati da qui, corro a casa a prendere i soldi e torno, ti darò una grossa mancia … Ho un fottuto bisogno di questo caffè immediatamente, mi serve per carburare, ti prego fammi credito». Salvata in corner dal nerd con gli occhiali che dice «pago io». E da quelle due paroline pronunciate sotto lo sconcerto del cinese e della bella addicted comincia tutto. Allora, tutte vorremmo essere Mickey. Fanculo.

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