Tutto cominciò la primavera scorsa, quando la Universal decise di distribuire il sequel di Trolls (2016), Trolls World Tour, sia nella poche sale ancora non chiuse dal Covid (drive in, per la maggioranza) che sulla piattaforme digitali, in contemporanea, eliminando la tradizionale finestra di novanta giorni che – nel caso di film prodotti dalle Major- separa l’uscita nei cinema da quella online.

IN RISPOSTA, la maggior catena di multisale del mondo, Amc, dichiarò che non avrebbe più presentato film Universal. Nei mesi a seguire l’uscita ibrida di Trolls World Tour (che ha incassato oltre 100 milioni di dollari), con tutte le sale americane chiuse dal virus, lo studio di Dracula e Frankenstein è stato quello che, più aggressivamente, ha deciso di optare direttamente per la distribuzione online di alcuni dei suoi titoli previsti per l’estate, come la commedia di Judd Apatow King of Staten Island.
Tra studios ed esercenti, il bracco di ferro per limitare «la finestra» dura da anni. L’entrata quest’anno sul mercato di Disney Plus, Hbo Max e Peacock – piattaforme create dagli studios in diretta competizione con Netflix – ha indebolito ulteriormente il potere contrattuale degli esercenti. Il Covid ha fatto il resto. Solo qualche settimana fa, indiscrezioni circolate sulle trade publications davano infatti la catena di multisale sull’orlo del fallimento.
Ed è così che si è arrivati alla sorprendente notizia della settimana scorsa: un accordo tra Universal e la Amc che permetterà ai film dello studio di essere accessibili via video on demand tre settimane dopo l’uscita nei cinema della catena. Il prezzo di questa «sneak preview» sarà di circa venti dollari e quindi molto maggiore dei costi normali di una visione vod (tra i tre e i sei dollari). Alla Amc andrà una porzione degli incassi derivati da quel biglietto «premium». È probabile che questo nuovo assetto non intaccherà di molto la vita nei cinema di un Jurassic Park o un Fast and Furious – franchise che tendono a «durare» in sala. Ma sicuramente permetterà alla Universal di spostare velocemente online i non blockbuster, film medi sia per budget che per le proiezioni sugli incassi.

«L’ESPERIENZA della sale rimane il cardine del nostro business. La partnership siglata con Amc deriva dal desiderio collettivo di assicurare un fiorente futuro all’ecosistema distributivo tenendo in conto le aspettative di flessibilità e opzionalità dei consumatori», ha dichiarato la Ceo della Universal Donna Langley. Per il Ceodi Amc Adam Aron: «È per il bene a lungo termine della nostra industria. D’altra parte, il fatto che ogni casa abbia una cucina non ha messo fine all’esistenza dei ristoranti. Abbiamo fiducia che, nel mondo post pandemia, il pubblico tornerà al cinema in massa».

È DA VEDERE se altri studios cercheranno accordi analoghi con le catene di multisale, mentre la scacchiera delle uscite continua a spostarsi più avanti nell’anno. La Paramount ha spostato in Vod (on demand) l’uscita, il 7 agosto, del nuovo capitolo della franchise Sponge Bob e ha venduto a Netflix (che probabilmente lo posizionerà per gli Oscar) uno di dei titoli di prestigio del suo listino autunnale, The Trial of the Chicago 7, di Aaron Sorkin. Altre catene di multisale come Regal, si sono pronunciate in termini negativi rispetto all’accordo. Quelli più penalizzati rischiano di essere i circuiti indipendenti e le sale arthouse, che lavorano proprio su quel cinema medio la cui longevità in sala è messa a rischio da accordi come quello di sopra. Già ampiamente minacciati dalle uscite in piattaforma (a cui ricorrono ormai anche i piccoli distributori) i cinema indipendenti e no profit sono tagliati fuori da trattative come queste perché privi del potere di vendita biglietti di una multinazionale come Amc.