Il cammino della nuova sinistra italiana è appena cominciato. Secondo il cronoprogramma concordato dai promotori esso dovrebbe vedere a fine gennaio lo start ufficiale ed entro l’anno la nascita del nuovo partito. In mezzo, un lavoro alla base e nei territori per dare testa, corpo e gambe al nuovo soggetto. Naturalmente il suo cammino non sarà facile e già vediamo spinte contrastanti: quella di chi lo aspettava da tempo e vorrebbe vederlo già sgambettare forte e felice e quella, opposta, di chi “gufa” (usiamo questo termine tanto per ricambiare) e lo vorrebbe già far rientrare nelle statistiche sulla mortalità infantile.

In ambo i casi è utile ricordare:
a) che il soggetto prende il via da una “operazione di vertice” esplicita e riconosciuta, e dalla consapevolezza delle tante anime esistenti che occorre mettersi insieme, camminare insieme, costruire cammin facendo;

b) che nel panorama politico italiano di oggi tutti i principali soggetti nascono da un lavoro durato diversi anni, con percorsi diversi, ma tutti abbastanza lunghi: il radicamento territoriale ed il cammino travagliato della Lega, la pluriennale seminagione di Grillo attraverso i suoi spettacoli impegnati, la lunga e calcolata scalata di Renzi gestendo il potere locale da una postazione privilegiata come Firenze per farne il trampolino di lancio verso i vertici nazionali.

Questa premessa per dire che, a sinistra, non possiamo illuderci che dopo la prima manifestazione di volontà possa registrarsi un balzo in avanti visibile nei sondaggi.

Il fatto che ci fossero aspettative ampie accentuate dalla svolta renziana non significa che ci sono milioni di elettori pronti ad aggregarsi al primo accenno di movimento, anche perché molte persone di sinistra hanno subito grosse delusioni ed hanno visto tante false partenze.
Quello che, più realisticamente, possiamo aspettarci è, invece, che l’operazione avviata susciti interesse, curiosità, attesa, aspettative: che questa volta essa riesca. Conta, quindi, non tanto quanto pesa oggi questa sinistra, ma quanto può pesare, quale spazio ha.
Sotto questo aspetto, l’unico sondaggio finora realizzato che tende a cogliere sia l’adesione odierna che l’interesse per il domani, è quello realizzato da Piepoli per la Stampa.

I dati che da esso emergono sono molto interessanti. Le intenzioni di voto di oggi non si discostano da quelle degli altri sondaggi: 27% al centro destra, 27,5 % al M5S, 32% al Pd. Alla nuova sinistra andrebbe il 5,5%, appena un pochino di più della somma dei voti di Sel ed altri di sinistra.

Ma la novità interessante viene dopo. Si è chiesto agli intervistati quale è la loro «propensione al voto». Nelle ricerche di mercato questo tipo di domanda tende a misurare il bacino potenziale, cioè il mercato che ciascun soggetto concorrente può raggiungere, per conquistarlo prima e fidelizzarlo dopo. Naturalmente il bacino elettorale così misurato risulta per tutti più ampio di quello attuale. Ebbene il centrodestra potrebbe, secondo Piepoli, arrivare fino al 38%, il M5S al 40%, il Pd al 43%, la sinistra fino al 21% (la somma supera il 100 per le risposte multiple di chi ha una propensione certa o probabile verso uno o più partiti).

Come si vede la differenza tra bacino reale e bacino potenziale è di 11 punti per Pd e centrodestra, di 12,5 punti per il M5S, di ben 15,5 punti per la sinistra. La sinistra, quindi, potrebbe addirittura quadruplicare il proprio consenso ed è l’area politica dove si concentra la massima aspettativa.

Un dato, interessante e positivo, che carica i protagonisti del nuovo soggetto di una grande responsabilità, una responsabilità da vivere con un’altrettanto grande dose di ottimismo.

Come rispondere alle aspettative di questo che possiamo chiamare il ” popolo del 20%”?
La risposta è apparentemente facile: facendo diventare questo popolo protagonista del processo costituente. In realtà essa è un po’ più complessa.

Intanto è bene ricordare che l’elettorato potenziale della sinistra comprende almeno quattro gruppi: gli astenuti da estraneità, quelli che non hanno votato o si astengono da anni e che si sentono sostanzialmente estranei al quadro politico attuale; gli astenuti da delusione che hanno abbandonato il campo dopo la delusione dell’Ulivo e la trasformazione Pds-Ds-Pd; gli elettori di sinistra, nuovi e vecchi, del M5S; gli elettori resistenti del Pd che non ce la fanno a lasciare questo partito perché non vedono una alternativa vicina e credibile.

Si tratta di quattro segmenti diversi ai quali rivolgersi con messaggi differenziati e mirati sapendo che il cambiamento del loro comportamento elettorale presenta diversi gradi di resistenza e difficoltà: nei primi due casi si tratta di richiamare al voto, nel secondo e nel terzo di convincerli a lasciare una appartenenza.

In tutti i casi comunque è necessario che scatti la scintilla della speranza che può diventare realtà.
Da qui l’importanza dell’immagine che arriverà a questo elettorato della sinistra che nasce e dei primi passi che fa a partire da oggi.
E qui c’è un problema da non sottovalutare: quello della comunicazione, della leadership, del coinvolgimento e della partecipazione delle persone in una fase in cui non ci saranno né leader incoronati, né strutture definite.

I principali partiti di oggi forniscono a questi problemi una risposta che noi non condividiamo, ma è anche vero che la cassetta degli attrezzi che noi abbiamo per affrontare questi temi non basta.

Nella specifica situazione italiana, caratterizzata, più che in qualunque altro paese europeo, da partiti leaderistici e populisti, non possiamo sottovalutare o negare l’importanza del leader e della sintonia col popolo. Non so se dobbiamo e come costruire un vero e proprio populismo di sinistra come ha sostenuto Christian Raimo su Internazionale proprio lo stesso giorno in cui sul manifesto si parlava del neopopulismo renziano. Penso che ci possano essere leadership più serie e rigorose di quelle che circolano (Berlinguer fu leader senza strillare, senza insultare, parlando ai cuori, ma anche alla ragione), ma il problema di fare emergere una leadership lo abbiamo e dobbiamo fare in modo che si tratti di una leadership collettiva e plurale, di genere e generazione, nella quale sia possibile ai dirigenti a tutti i livelli esprimere posizioni liberamente, emergere, correre rischi.

Ed abbiamo anche il problema di costruire una sintonia, una relazione sentimentale con chi guarda a noi. Non si tratta solo di far arrivare un messaggio dall’alto agli elettori tutti. Questo va fatto con impegno sapendo che la presenza nei mass media e nei talk show è importante (ed anche tenendo presente che se ne può restare prigionieri).

Si tratta, però, anche di operare in basso per costruire sedi, fisiche e virtuali, di incontro e di partecipazione nelle quali le forze organizzate si possano amalgamare e quelle potenziali possano trovare nuovi terreni di incontro e protagonismo.
Questi due piani di lavoro debbono vivere insieme e, soprattutto in questa prima fase, tutte le sensibilità sono preziose, da quelle delle forze più vecchie ed organizzate come Sel a quelle di coloro che tentano una ricostruzione dal basso come Possibile.

Ma a tutti è richiesta una grande disponibilità a partecipare ad un progetto comune. Le aspettative di cui abbiamo parlato non possono essere deluse. Sta a noi tutti non sprecare anche questa occasione e fare in modo che la sinistra italiana da forza potenziale diventi forza reale. Oggi questo finalmente è possibile e sarebbe imperdonabile perdere questa occasione.