Approccio pragmatico: una riforma del regolamento è al primo posto dell’agenda di Enrico Letta sulla revisione delle istituzioni. Poi arriveranno legge elettorale e proposte di modifiche alla Costituzione. Ma la cosa più urgente, ha detto, è «portare a Casellati e a Fico una proposta per combattere i mali del trasformismo». Mossa evidentemente pensata per non lasciare ai 5 Stelle il monopolio dei temi anticasta. Strategia che del resto il neo segretario del Pd conosce bene, visto che una delle (poche) cose che il suo governo ha portato a compimento nel 2013 è stata l’abolizione dei rimborsi elettorali ai partiti (non mancano i pentiti).

Gruppi parlamentari e organi di partito non ne hanno ancora parlato, ma esiste una veccia proposta di riforma del regolamento (Franceschini, 2007) dalla quale il Pd può partire. È in pratica quel divieto di formare nuovi gruppi in parlamento, diversi dai partiti che si sono presentati alle elezioni, già previsto nel nuovo regolamento del senato. Alla camera questo divieto non c’è perché proprio i grillini si opposero sul finire della precedente legislatura. Adesso la proposta Letta punterebbe a superare i limiti del regolamento Grasso al senato, evidenziati dal caso Italia viva alla quale è bastato acquisire la collaborazione di un senatore (Nencini) collegato a un sotto-simbolo (Socialisti) per formare il nuovo gruppo.

Ma al di là della preferenza tattica, non è certo questa la proposta di Letta più attesa. La vera novità riguarda la legge elettorale ed è la messa in archivio del modello proporzionale rivendicato da Zingaretti fino all’altro ieri. E cristallizzato in un patto con i 5 Stelle sulla proposta di legge Brescia. Niente da fare, Letta è un campione di quell’impostazione che da Prodi a Veltroni continua a vedere nel maggioritario la soluzione dei problemi dell’Italia. E infatti ha detto che recupererebbe volentieri il Mattarellum, legge che premia le coalizioni – come quella di centrodestra, che c’è già – e che avrebbe comunque bisogno di qualche correzione (a meno di non voler tornare alle liste civetta). Non però una correzione sulle liste bloccate, che nel Mattarellum erano sufficientemente corte come poi predicato dalla Corte costituzionale, tanto da rendere superflui gli escamotage «finlandesi» suggeriti a Letta da Filippo Andreatta.

«Veltroniana» – ma poi anche renziana, e grillina – la proposta di allargare l’elettorato attivo ai 16enni. Che, al di là di tutto, richiederebbe una modifica anche dell’elettorato passivo, a meno di non voler lasciare un diritto a metà per 9 anni (alla camera) o 24 (al senato) anni. Sul punto è appena il caso di ricordare che la camera si è bloccata cinque mesi fa quando avrebbe dovuto approvare l’abbassamento a 18 anni dell’età di voto per il senato.

Infine Letta non è sfuggito al richiamo della riforma costituzionale vera e propria, quella destinata a incidere sul parlamento. Non ha citato le piccole modifiche compensative, che pure anche il Pd riteneva indispensabili a mitigare gli effetti distorsivi del taglio dei parlamentari sulla rappresentanza (con il Mattarellum potrebbero persino aumentare). Ma ha speso una parola per la sfiducia costruttiva, innovazione compresa in effetti in un disegno di legge che il Pd aveva presentato mesi fa ma che non è mai stato nemmeno incardinato. Anche perché lo stesso partito, in un seminario di poco successivo, ammise che a questo punto della legislatura immaginare grandi riforme di sistema è poco più di un gesto simbolico..