Lunedì la direzione del Pd ha sbattuto i tacchi: correre sulle riforme. Pronti, via. Ma cominciano le votazioni in parlamento e non si sa dove andare. La corsa parte con un rinvio e a chiederlo sono i luogotenenti del patto del Nazareno, i relatori in commissione affari costituzionali alla camera Fiano (Pd) e Sisto (Fi), con l’appoggio della ministra Boschi. Non c’è nulla da votare perché tutti i punti delicati bisogna aggirarli. Il nuovo bicameralismo partorito a palazzo Chigi non ha i voti per muovere i primi passi e quindi si comincia dagli articoli meno importanti della riforma, pescati un po’ a caso nel disegno di legge costituzionale: 4, 5, 9, 27. In commissione si danno i numeri, più tombola che costituente, ma l’estrazione finisce presto e scatta il solito vertice tra ministra e partiti. Però alla camera importa capire le mosse della minoranza Pd, che controlla circa la metà dei 23 commissari del gruppo, schierando da Bersani a Bindi a Cuperlo. Servirà tempo.

Nel frattempo nella corsia parallela della prima commissione al senato – dove pure si dovrebbe correre – si allunga la lista degli iscritti a parlare sulla nuova legge elettorale. La presidente Finocchiaro già annuncia sedute notturne per esaurire il dibattito. Ancora un po’ bisognerà dare l’impressione di credere nel dettato renziano: riforma entro natale. Un occhio al calendario certifica da tempo che è impossibile. Ma soprattutto, anche in questo caso, non si sa in che direzione correre. Renzi, compreso con qualche mese di ritardo che una legge elettorale che prevede un consistente premio di maggioranza solo alla camera non si può fare, è a caccia di soluzioni. Lo battono in fantasia solo i suoi tifosi. «Italicum in vigore quando sarà abolito il senato», assicura Repubblica, come se si potesse approvare la legge elettorale per poi legarla al verificarsi di un evento incerto. Nemmeno Renzi osa tanto: «Sarebbe un atto contro la Costituzione e un emendamento di questo tipo è già stato proposto e respinto». Vero, accadde proprio quando fu deciso di limitare l’Italicum alla sola camera. Non per rispetto della Costituzione, ma per calcolo delle convenienze. Per questo Renzi, che vuole tenere il parlamento sulla corda, inventa un’altra soluzione: «Si può fare eventualmente una clausola che dice che la legge elettorale entra in vigore dal primo gennaio del 2016: noi la utilizzeremo solo nel 2018, ma va fatta subito». Vuole tenersi l’arma della minaccia di elezioni anticipate. Ma non può dirlo e quindi non può spiegare perché esclude la soluzione più ovvia: attendere l’approvazione della riforma costituzionale.

Non sarà un’attesa breve, questo è chiaro. Anche a rispettare il cronometro di Renzi, non prima della fine del prossimo anno. Ma il cronometro già si impunta. Alla camera vorrebbero portare in aula la riforma costituzionale il 16 dicembre. L’ultima settimana piena di lavori parlamentari. La stessa in cui tornerà la legge di stabilità. Per quanto si tratti solo di una calendarizzazione formale, utile a contingentare i tempi nel mese successivo, è già a rischio. La minoranza del Pd ha emendamenti insidiosi praticamente su tutto, la ministra pare disposta a cedere su almeno quattro questioni: i numeri per l’elezione del presidente della Repubblica (nel testo uscito dal senato il primo partito dopo otto scrutini può fare da solo); un freno ai disegni di legge del governo con la procedura del voto a data certa (che nella versione attuale sono un bis senza limiti dei decreti legge); l’abbassamento del quorum per portare alla Consulta la legge elettorale prima della promulgazione; un ritocco al complicatissimo procedimento legislativo, difficilmente fino al punto di riammettere il senato in ogni materia, riservando alla camera l’ultima parola. Ma il primo ostacolo che ha davanti il governo è quello della composizione del nuovo senato. Renzi ha detto in direzione che sarebbe stato più contento di farne una camera di 108 sindaci, come da sua proposta originaria vidimata Anci. La minoranza del Pd vorrebbe far sparire anche quell’ultimo sindaco per ogni regione che è rimasto nel testo, aggiungendo un altro consigliere regionale. Per avvicinare (solo un po’) la riforma italiana al Bundesrat tedesco, dove però – è uno stato federale – i senatori sono rappresentanti dei governi dei Land e votano tutti allo stesso modo (e c’è anche un emendamento di questo tenore). Le riunioni si susseguono, oggi un ufficio di presidenza della commissione tenterà di dare un’ordine. Ben sapendo che il senato non lascerà alla camera l’ultima parola sul suo destino, il che significa che di (prime) letture ce ne vorranno quattro.

Domani, intanto, grazie alle sedute notturne, la commissione affari costituzionali del senato potrebbe arrivare alle prime votazioni. Nodi da sciogliere ce ne sono anche qui, come
le liste semi-bloccate, una colonna del patto del Nazareno costituzionalmente improponibile. Si dovrà cominciare dall’ordine del giorno Calderoli che lega l’entrata in vigore dell’Italicum alla riforma costituzionale. È il contrario di quello che ha detto Renzi. È il progetto dichiarato della minoranza Pd. È vero, il capogruppo Zanda ha bonificato la prima commissione dai dissidenti. Ma allungare la legislatura resta il desiderio proibito di tanti.