«Ci era sembrato, mi passi il termine, bizzarro chiedere» di curare pazienti post acuti Covid «a noi che siamo all’interno di strutture non al riparo dal contagio visto che i nostri operatori entrano ed escono ogni giorno e che allo stesso tempo dobbiamo anche assistere e curare persone», dice Elena Donati, presidentessa di Fondazione Casa Industria di Brescia.

Qualche giorno fa Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, era tornato sulla richiesta alle Rsa lombarde di ospitare pazienti Covid post acuti dichiarando: «Si sta sottovalutato il rischio nelle strutture per anziani e disabili» che «non sono luoghi per curare patologie acute, ma per migliorare la qualità di vita» degli ospiti. A Brescia città «abbiamo fatto la scelta di dare la possibilità a pazienti, per lo più anziani, di poter avere cura e degenza in Rsa senza stare in ospedale – continua Donati – ma non abbiamo dato disponibilità a pazienti post Covid, solo a pazienti con altre patologie». Fondazione Casa Industria, assieme a Fondazione Casa di Dio e Fondazione Brescia Solidale, le tre più importanti organizzazioni che gestiscono Rsa locali, hanno oltre il 25% del personale in malattia o quarantena e si trovano in grossa difficoltà per continuare a garantire l’adeguata cura dei loro ospiti nelle strutture.

Hanno così scritto una lettera congiunta indirizzata ad Ats, Prefetto, e per conoscenza al sindaco Del Bono, dove chiedono di ricevere un trattamento simile agli ospedali e quindi poter avere un supporto materiale, in termini di risorse umane, per poter garantire cure adeguate. Non è facile capire quanti siano i morti da febbraio ad oggi tra Brescia e provincia, non ci sono dati ufficiali. Leggendo le cronache dei quotidiani locali si superano ampiamente le 100 unità. Secondo Bertoli, segretario della Camera del Lavoro di Brescia e provincia, l’impossibilità di ricostruire esattamente il numero dei decessi, così come la precisa individuazione delle responsabilità, svela «la ristrettezza delle nostre istituzioni, con la Prefettura che non riesce a fare tutto come l’Ats o l’ispettorato del lavoro.

Ci si scontra con la realtà di avere le strutture talmente ridimensionate da non risultare del tutto adeguate. La conseguenza è il dilatamento di tutti i tempi». Secondo uno studio dell’Istituto Superiore della Sanità, iniziato il 24 marzo e ancora in via di svolgimento, i morti nelle Rsa lombarde sarebbero 934. Il dato è è parziale e raccoglie, ad ora, solo i numeri di 164 strutture sulle 708 della regione.

La procura di Milano ha aperto diverse inchieste sul caso Rsa indagando anche la Regione Lombardia. Le ipotesi vanno da diffusione colposa di epidemia a mancanza di cautele, sia informative che di dispositivi, per prevenire il rischio dei contagi. Le inchieste partono da esposti e denunce presentate da partiti, lavoratori delle strutture e familiari delle vittime, riguardanti i protocolli di sicurezza delle diverse Rsa e i provvedimenti regionali in materia di emergenza sanitaria, tra cui il «piano pandemico» della Regione del 2009 e la delibera con cui si chiedeva alle Rsa di accogliere pazienti Covid-19 dimessi dagli ospedali.

La sensazione di Bertoli è che un adeguamento delle condizioni di sicurezza nelle Rsa bresciane ci sia stato «nell’ultima settimana, o forse negli ultimi quindici giorni perché è stata molto forte la pressione. Prima non direi. Tanto che anche diverse Rsa hanno pubblicamente dichiarato problemi di fornitura di mascherine, guanti e quant’altro per diverso tempo».