Non è passato molto dal fracassante debutto della piazza fascioleghista, come i cronisti definirono l’abbraccio tra il Carroccio e Casa Pound celebrato lo scorso 28 febbraio a Roma. Eppure, all’indomani del passaggio bolognese delle consegne tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini per la guida della coalizione delle destre plurali, c’è il rischio che si proceda ad una rapida archiviazione di quanto avvenuto solo pochi mesi fa. Cessato l’allarme, i fascisti del terzo millennio sono andati alla manifestazione bolognese in polemica per la presenza del Cavaliere, la Lega rischia di tornare ad essere considerata come un’anima tra le tante del centrodestra.

Al di là dell’incontro tra il Carroccio e la componente più visibile dell’estrema destra nostrana, la definizione di «fascioleghismo» rimanda al tentativo in atto da parte della Lega di ridefinire la propria identità nei termini di un vero «partito della crisi»: in questo senso la radicalizzazione leghista sul piano politico è speculare alla costituzione materiale scandita da impoverimento e precarizzazione di massa.

L’alleanza con Marine Le Pen in Europa e con i neofascisti in patria, lo spostamento del terreno del conflito dalla Padania promessa all’intero territorio nazionale, il passaggio dalla battaglia contro «Roma ladrona» a quella contro i tecnocrati di Bruxelles e l’Euro, la retorica dell’intolleranza e della xenofobia a base di ruspe e dell’elogio della legittima difesa, definiscono il quadro di un movimento politico che, sotto la guida di Salvini, celebra l’approdo leghista nella nuova estrema destra europea.

Passaggi di testimone

Del resto, come suggerisce Pietrangelo Buttafuoco nell’introduzione a All’armi siam leghisti (Aliberti Wingsbert House), l’indagine sulla conquista della destra sociale da parte di Salvini realizzata da Antonio Rapisarda già giornalista del Secolo d’Italia e ora tra gli animatori di Barbadillo.it, tra i siti più frequentati del web postfascista, anche la conquista della leadership del centrodestra sembra un risultato diretto della situazione circostante. «Perché quest’Italia, che non è di sinistra, dovrebbe darsi rappresentanza con un leghista adesso? Forse perché è la realtà che torna a determinare, oggi, la politica. Dopo l’ubriacatura di fiction, di selfie, di slide, a chi è capace di cogliere gli aspetti concreti tocca oggi il testimone».

Allo stesso modo, è con la stagione della crisi che matura l’eclisse dei famosi moderati, il «soggetto» sempre evocato a proposito di un centrodestra più immaginifico che reale. Eppure, come suggerisce il politologo Marco Tarchi, autore di Italia populista (Laterza), evocando le fortune elettorali di Marine Le Pen, «che giova inseguire le enclave moderate se le praterie dell’inquietudine e della protesta sono spalancate?».

Ma ad alimentare la definitiva torsione fascioleghista del Carroccio, capace di intercettare quella che Rapisarda definisce come «la maggioranza silenziosa 2.0 che oggi è intenzionata ad urlare il proprio disagio: contro l’Europa dei burocrati, contro il mostro impalpabile della finanza virtuale, contro l’immigrazione clandestina», sono anche elementi di lungo corso della vicenda leghista che ottengono ora una nuova, sinistra centralità. A far da cornice, l’agitazione di tematiche xenofobe, una costante della proposta politica della Lega. Come nota l’antropologa francese Lynda Dematteo in L’idiota in politica (Feltrinelli), uno degli ultimi studi dedicati al movimento prima dell’ascesa alla segreteria da parte di Salvini, «gli studiosi italiani preferiscono tacere degli aspetti più esasperati della propaganda razzista della Lega, ma nel frattempo i leghisti continuano a ottenere consensi elettorali sfruttando l’intolleranza verso i diversi».

Una strategia propedeutica alla crescita elettorale del Carroccio, visto che fin «dagli anni Novanta, la Lega ha distribuito volantini che riportavano graficamente il parallelo tra ingresso di migranti ed espansione della criminalità nel tentativo di giustificare “scientificamente” il legame immigrato-delinquente su cui si basano le sue argomentazioni». Su queste basi il movimento ha sempre fatto «il pieno di voti promettendo agli abitanti dei piccoli centri o dei quartieri periferici, dove abitualmente si insediano i rom, di cacciarli o di smantellare i loro campi», mentre «buona parte dell’azione istituzionale dei leghisti è determinata dall’uso politico delle tensioni latenti tra abitanti locali ed extracomunitari».

L’«offensiva delle ruspe» induce naturalmente allo sdegno. Allo stesso tempo non si può evitare di sottolineare come proprio la Lega sia stata nel nostro paese il principale imprenditore politico dell’intolleranza nell’arco degli ultimi 25 anni. Anche per questa via, ben prima dell’ascesa di Salvini, nel Carroccio sono confluiti a più riprese, dalla fondazione del movimento in poi, figure provenienti dal mondo dell’estrema destra: da Mario Borghezio, proveniente da Giovane Europa, a Gilberto Oneto, figura di primo piano della cultura leghista, precedentemente impegnato ne La Voce della fogna con Tarchi, fino a Giancarlo Giorgetti, già capogruppo leghista alla Camera, cresciuto nella Comunità giovanile di Busto Arsizio, uno dei primi esperimenti, negli anni Ottanta, di «centro sociale di destra».

La generazione nero-verde

In tempi più recenti, suggerisce Rapisarda, va notata, a livello locale, «la sostanziale sovrapposizione nell’immaginario giovanile fra un movimento di destra radicale come Forza Nuova e la Lega. Inizialmente i rapporti tra le due formazioni politiche sono stati pessimi per via della campagna secessionista della Lega; in seguito fra i due movimenti c’è stato spesso un travaso di militanti. Analoghamente, alcune esperienze territoriali hanno svolto la funzione di apripista nella costruzione di relazioni tra la Lega e il mondo dell’estrema destra. Come nei casi dell’amministrazione trevigiana a lungo guidata dal «sindaco sceriffo» Giancarlo Gentilini, del «laboratorio identitario» della comunità varesina di Terra Insubre, ma soprattutto del «modello Verona», dove Flavio Tosi, prima di abbandonare la Lega, ha flirtato con la destra radicale, nominando alla guida del locale Istituto storico della Resistenza un esponente politico proveniente dalle fila del Veneto Fronte Skinheads.

Ma è soprattutto in Rete – i siti come Il Talebano o Primato Nazionale, legato a Casa Pound Italia – che ha preso forma quella che l’autore di All’armi siam leghisti definisce la «generazione nero-verde». Un eslemento, questo, rilevante nell’identità radicale della Lega cresciuta nell’intreccio di lungo corso tra la politica del movimento e le istanze della nouvelle droite intellettuale. Un intreccio che ha avuto una tappa importante nell’incontro pubblico a Milano della leadership leghista con Alain de Benoist, il capofila di una tendenza intellettuale nata alla fine degli anni Sessanta all’interno del neofascismo francese con l’obiettivo dichiarato di rinnovarne il vocabolario e il rapporto con la realtà circostante – la genesi del cosiddetto «gramscismo di destra» -. Un incontro che ha preceduto di poco la conquista della segreteria leghista da parte di Salvini, anche se i riferimenti alle tesi dell’intellettuale antimoderno ricorrono sovente nell’impianto ideologico della Lega.

L’orizzonte euroasiatico

Alla Lega che evocava l’Europa delle regioni, declinata attraverso i sentimenti tristi delle piccole patrie carnali, Alain de Benoist, ospite a più riprese degli amministratori del Carroccio perlomeno a partire dagli anni Novanta, ha offerto lo strumento del differenzialismo culturale come archetipo dell’impossibilità pratica di un incontro tra culture. E se i leghisti ritenevano di poter evocare lo spazio dovuto alla patria dei produttori padani nell’ambito dei processi di globalizzazione, magari via Bruxelles, il vate neodestro proponeva invece la sua visione di un’Europa imperiale come unica via contro l’omologazione mercantile, spiegando come «solo l’appartenenza posta come principio consente di difendere la causa dei popoli» e di proteggere «le nostre rispettive identità contro il sistema globale». Allo stesso modo in cui oggi, per attraversare l’età della crisi, dopo che la Lega ha spostato l’asticella sul piano nazionale, e eletto la Ue a nemico pubblico n°1, de Benoist indica l’orizzonte del blocco eurasiatico e la tradizione anticosmopolita di Mosca come direzione di marcia. I ripetuti interventi di Salvini a favore di Putin e le bandiere russe in tutte le piazze leghiste, confermano che anche in questo caso il messaggio è andato a buon fine.