«Ero contro certe regole folli», dice Renzi a Repubblica. Ma all’ultima direzione del Pd il regolamento del congresso Pd è stato votato all’unanimità. Matteo Orfini, avete – i renziani e voi – votato una «follia»?

Renzi è contro queste regole ex post. È stato un errore, ma è stato un regolamento condiviso. Dire oggi di averle subite è curioso e anche un po’ scorretto. Quello che sta accadendo sul tesseramento, in alcuni casi, non deve nascondere che decine di migliaia di persone stanno partecipando in forme lecite e appassionate a una discussione democratica. Ma anche che dobbiamo riflettere, lo dico autocriticamente, su cos’è oggi il Pd. In alcune realtà si è rotto il senso di una comunità.

Per fortuna parliamo di una minoranza di casi.

Dobbiamo immaginare come ricostruire un partito in grado di essere all’altezza delle sfide del paese.

Avete scelto queste regole per tendere un trappolone a Renzi?

Nessun trappolone. Se tenevamo le primarie aperte fino all’ultimo, come abbiamo scelto di fare dopo una discussione in cui Cuperlo era d’accordo con Renzi e altri invece premevano per la chiusura del voto ai soli iscritti, sembrava sbagliato chiudere la partecipazione nei circoli. Abbiamo sbagliato, abbiamo sottovalutato quello che è oggi il Pd in alcune, non molte per fortuna, realtà del paese.

E cos’è il Pd?

In alcune realtà è solo uno strumento che serve a selezionare classe dirigente. Che produce una battaglia interna con ogni mezzo per ottenere quel risultato. E questo dimostra che oggi il Pd è tutto tranne che un partito solido. La solidità non la dà avere tanti funzionari o dirigenti nelle federazioni, ma la rappresentanza sociale. Un partito è vivo se rappresenta un pezzo di società che lo usa come strumento di battaglia politica. Altrimenti è un gioco chiuso fra oligarchie.

È uno dei nodi del congresso. Renzi parte dalla constatazione che il Pd non è più il partito degli operai e dei giovani. Ma poi dice che la riforma Fornero va bene. E che la Cgil è un sindacato di pensionati. Vuole cambiare il riferimento sociale del Pd?

In quello che Renzi dice c’è un elemento di verità. Quando si accorge – alcuni di noi lo dicono da tempo – che il Pd è il terzo partito fra gli operai dice una cosa vera e drammatica. Ma c’è un nesso fra questo dato e il fatto che quando Marchionne discriminava gli operai alcuni nel Pd dicevano che dovevamo stare con Marchionne: e Renzi era fra questi. Un recente studio del Mulino dimostra che giovani, precari, disoccupati e operai votano Grillo, o Pdl. In rari casi votano Pd. È il problema più profondo e va legato alla discussione sulla forma partito. Il modello di partito che sceglieremo dipende da cosa vogliamo fare e chi vogliamo rappresentare. A Renzi dico che non può segnalare questi problemi, giusti, e poi mettere sul palco il precario e il finanziere d’assalto che dà dei ladri alle persone sbagliate, e cioè ai sindacati e ai padri che ’rubano’ ai figli. O si è confusi o si è in malafede.

Torna il ’ma anche’ del discorso del Lingotto di Veltroni?

Precari e finanzieri d’assalto hanno interessi differenti e confliggenti. L’idea di tenerli insieme è una sciocchezza. Ma nella retorica contro il sindacato del discorso di Renzi, che coglie un punto di verità – la difficoltà della rappresentanza della pluralità del lavoro – sembra di risentire il discorso di D’Alema al Palaeur nel noto congresso dello scontro con Cofferati (il congresso Pds del ’97, ndr). Quella lettura della società oggi è improponibile. E le scelte fatte in base a quella lettura hanno costruito la società iniqua e ingiusta di oggi. La crisi della rappresentanza va affrontata riconoscendo che ci sono interessi contrapposti e decidendo con chi si vuole stare. Se invece riproponiamo vent’anni dopo le cose che diceva la sinistra pensando che possano essere la soluzione a problemi che invece hanno contribuito a creare facciamo un’operazione di rimozione dei nostri errori. E rimuovendoli li ripeteremo. Se davvero Renzi vuole combattere l’establishment, non solo politico, e unirsi alla battaglia solitaria che alcuni di noi fanno da anni, smetta di pensare che il problema si risolva mettendo Della Valle al posto di Bazoli, o Serra al posto di Profumo. E che l’establishment da abbattere siano i sovrintendenti.

Renzi dice: «Quando presenteremo le proposte sul lavoro, domanderemo attraverso la rete il contributo degli imprenditori e dei lavoratori. Questa è la rivoluzione». È la rivoluzione?

Dipende da che significa. Ci sono migliaia di imprenditori che cercano di competere innovando e non riducendo i diritti dei lavoratori, ma non ce la fanno perché il paese non li sostiene. Per carità, è importante coinvolgere tutti nella decisione, per carità è importante. Però penso che sarebbe molto rivoluzionario anche rispondere al principale quotidiano italiano che è una sciocchezza sostenere che privatizzare tutto è l’unica salvezza del paese. E che invece bisogna ritrovare un ruolo attivo dello stato nell’economia, come dicono anche i più avanzati economisti europei. Vogliamo fare la rivoluzione? Bene, ma la rivoluzione non si fa dicendo che Serra e i precari vogliono la stessa cosa: una cretinata.

Renzi ha appiccicato a voi sostenitori di Cuperlo l’immagine di conservatori, apparato e partitisti?

L’ho già detto, il ghostwriter di Renzi è il D’Alema di vent’anni fa. A occhio il conservatore è lui. Con l’aggravante che conserva un modello già fallito.

Nel Pd c’è un partito dei circoli contro un partito delle primarie?

No, nei circoli ci sono persone normali, come quelle che vengono alle primarie. Nella storia del Pd non c’è mai stata gran differenza fra voto delle primarie e dei circoli. Con Cuperlo abbiamo voluto da subito primarie aperte. Se discutiamo con il paese l’idea di partito e dell’Italia rendiamo più forte il Pd. Se ci chiudiamo a trattare di equilibri interni, no.

Ma se dalle primarie venisse un risultato diverso da quello dei circoli?

Non credo che avverrà. Dopodiché è vero, abbiamo un meccanismo barocco per la scelta del segretario. Ma chiunque sarà eletto, il giorno dopo sarà riconosciuto segretario del partito e avrà a cuore la missione di ricostruire un rapporto fra militanti ed elettori.