Una grande carriera ha segnato la vita del Maestro Pino Donaggio che fin da giovane si è imposto all’attenzione di tutti con un successo che ha saputo abbracciare la musica leggera italiana, il grande cinema e la musica internazionale. Un viaggio straordinario iniziato fin dall’infanzia con gli studi classici e la collaborazione con Abbado e Scimone, per poi conquistare il mercato italiano e quello internazionale con Io che non vivo, interpretata da Dusty Springfield ed Elvis Presley, fino a lavorare con i grandi registi cinematografici come Brian De Palma. Il Maestro Donaggio quest’anno compie ottant’anni e rivisita la sua carriera lunga sessant’anni fatta d’incontri, fortuna e soprattutto grande amore per la musica.

Com’è avvenuto il salto dalla musica classica alla musica leggera?
Durante le vacanze ho iniziato a cantare e vedevo che tutti mi applaudivano. Così tornai a Milano con due canzoni che ascoltò Bruno Pallesi, produttore e autore di testi che mi presentò alla Curci a cui sono piaciuto e mi fecero subito il contratto. All’epoca ero minorenne e chiesero di mio padre, il quale sapeva che molti veneziani provavano a portare a Milano le loro canzoni ma tornavano sempre a mani vuote, così quando gli giunse la notizia realizzò che avevo talento; da allora mi ha sempre seguito, consigliato, era felice. Contemporaneamente ho continuato a studiare e suonare con Scimone, preparai gli esami e infine il diploma. Il violino è sempre stato il mio strumento, ho sempre immaginato di suonare nei grandi teatri.

Quando arrivò il momento di Sanremo?
Quando ho scritto Come sinfonia. Fu Mina a farmi il provino ma aveva già due canzoni da presentare, Mille bolle blu e Io amo tu ami, così mi disse che dovevo essere io a presentarla. All’epoca c’erano già i Big e io ero uno sconosciuto, non c’era la sezione giovani, ma Mina insistette. La canzone ebbe un successo inaspettato.

Com’era il clima in quel periodo, il rapporto con i musicisti e Sanremo?
Il sistema dello spettacolo in generale era completamente diverso, oltre ai teatri si cantava anche nei Casinò e io ho iniziato quando la tv era ancora in bianco e nero. Il sistema di produzione e promozione della musica era differente: mi viene in mente la lotta con la pubblicità che faceva la Rca, che era molto forte: lanciavano i dischi vendendone tre ma ne pagavano due dove insieme a nomi importanti come Morandi e Pavone c’era uno sconosciuto. La mia casa editrice non aveva questo sistema. Quando andavamo a Sanremo, partivamo alla pari: portavi una nuova canzone, la ascoltavano e se piaceva il giorno dopo vendevi i dischi. Ero molto amico di Gaber, anche lui studiava a Milano e avevamo un amico in comune un certo Caproni, il padre faceva gli aerei. Ci incontravamo per chiacchierare e sentire i nuovi dischi, un rapporto di amicizia senza invidie e sotterfugi cose che vengono dopo con il successo; iniziano a parlare male per portare su un altro, insomma delle cose non proprio belle. Poi il grande successo arrivò nel ’65 con Io che non vivo.

E poi la chiamata del cinema.
Sì, è successo per caso. Tornavo a casa con un vaporetto alle 6 del mattino dopo una serata, il produttore Ugo Mariotti mi vide e mi disse che stavano girando un film di parapsicologia, Don’t Look Now con Julie Christie e Donald Sutherland. Qualche ora più tardi mi chiamò per chiedermi di fare le musiche per il film che in italiano si chiama A Venezia… un dicembre rosso shocking. Dopo due settimane presentai le musiche, con qualche passaggio ispirato a Vivaldi, che piacquero molto e vinsi il premio inglese come migliore colonna sonora. La mia fortuna fu che il film era ambientato a Venezia, conoscevo le atmosfere, cosa vuol dire andare per una Calla di notte, la nebbia e tutte le ansie che ti vengono da ragazzo quando giri di notte. Da quest’avventura capii che era meglio smettere di cantare, anche perché dopo mi chiamarono per Il tocco della medusa con Richard Burton ma non mi trovarono, ero in tournée e persi il film.

Ha continuato comunque a scrivere canzoni?
Sì certo, ho fatto un disco nel ’78 dopo che andai negli Stati Uniti, avevo scritto anche la canzone Mario che avevo dato a Jannacci e che tutti pensano sia sua. Poi la casa discografica è fallita e alla fine dissi basta.

Qual è il suo rapporto con l’immagine, come lavora sul suono?
Ho una buona memoria fotografica, quando vedo un film per la prima volta ricordo bene anche i dettagli. È un aspetto che non sapevo di avere, venivo dalle canzonette e avevo visto pochi film, per esempio quelli di Hitchcock. Instauro un rapporto con le immagini che mi suggeriscono subito la melodia, ho maturato un certo stile riconoscibile, ma non impongo la mia musica. Oltretutto ho fatto film diversi, passando dai polizieschi ai film politici con Giuseppe Ferrara, e poi le commedie che mi hanno aiutato a uscire dalla suspense, come Non ci resta che piangere o la fiction Don Matteo. È importante anche il rapporto con il regista e le sue indicazioni, come i punti musica, dove la musica entra o i crescendo prima di una pugnalata. Dopo aver raccolto tutte le informazioni, torno a Venezia per scrivere. Inizio a lavorare sulle parti tecniche seguendo le immagini, un inseguimento o una scena di suspense, e aspetto l’ispirazione del tema del film che spesso arriva quando viaggio: in vaporetto o in aereo, chiedo foglio e penna alla hostess e inizio a scrivere. Un altro elemento che mi aiuta molto è la pittura, il mio secondo amore; quando non trovo l’ispirazione, faccio sempre una visita ai musei. Attraverso i colori e le sfumature capisci che anche nella musica puoi trovare delle variazioni, per esempio degli accordi atonali. La pittura e la musica spesso per me sono la stessa cosa.

Com’era e com’è nato il suo rapporto con De Palma?
De Palma stava realizzando Carrie e il suo compositore Herrmann venne a mancare. Brian cercava un nuovo musicista ma non voleva i soliti compositori hollywoodiani. Una sera un suo amico gli fece ascoltare un mio lp e vedere il film Don’t Look Now, non gli piacque molto ma s’innamorò della mia musica. Il nostro era un rapporto che si basava sulla fiducia. De Palma ascoltava la mia musica solo dopo che averla registrata con l’orchestra, a cose fatte insomma, ed era un grande rischio perché poteva non piacergli, ma non è mai successo e insieme abbiamo fatto sette film. Avevamo un ottimo feeling, la pensavamo allo stesso modo; era un vero piacere lavorare con lui, anche se è sempre stato un po’ «orso». Il nostro è stato un rapporto di amicizia e stima che è durato nel tempo anche nel periodo di pausa da Raising Cain a Passion e Domino, gli ultimi titoli che abbiamo fatto insieme.

Quali sono i suoi ultimi progetti?
Scimone mi chiese di scrivere dei brani per I Solisti Veneti ed è nato un disco per la Warner, Lettere, dove ripercorriamo in maniera circolare alcuni momenti e luoghi importanti per la mia carriera compositiva. Quando nel 2018 Scimone è venuto a mancare la moglie mi ha chiesto di portare a termine il nostro progetto e di dirigere l’orchestra, la prima volta in tutta la mia vita. Da qui è nato il disco Nel cinema e nella classica, una rivisitazione matura e più impegnata dei miei brani. A dicembre ho terminato le musiche per Anemos di Fabrizio Guarducci, un docufilm tratto dal libro del regista, mentre con il critico cinematografico Anton Giulio Mancino stiamo scrivendo, ed è una sua iniziativa, la mia biografia, uscirà presto.

 

PASSIONE INFINITA
Pino Donaggio (1941) inizia a studiare violino a dieci anni, prima al conservatorio Benedetto Marcello di Venezia e poi al Giuseppe Verdi di Milano dove inizia una collaborazione con il Maestro Abbado e con il Maestro Scimone con cui collabora fino al debutto a Sanremo, nel 1961, con il brano «Come sinfonia», ottenendo un successo discografico inaspettato. Nel 1965 arriva la consacrazione definitiva con il brano «Io che non vivo» mentre nel ’73 inizia il rapporto con la musica per il cinema con il film «Don’t Look Now», che in Inghilterra gli valse il premio come migliore colonna sonora dell’anno. Nel 1976 firma le musiche del film «Carrie» di Brian De Palma, con cui stringe un rapporto che durerà per molti anni e molti film. In Italia ha lavorato con registi come Fulci, Avati, Argento, Ferrara e Fragrasso. Tra i maggiori riconoscimenti vanta il Leone d’oro Città di Venezia, il Gran premio Torino -Torino Film Festival e il Premio Tenco alla Carriera.