Quando il 10 aprile 1979 Nino Rota lasciava il transito terrestre, di lui rimaneva una forte commozione e soprattutto un grande rimpianto. Lo stesso che probabilmente lo accompagnò per tutta la vita da geniale musicista, essere cioè compreso nella sua creatività così poco congeniale sia alla sinistra culturale che a diversi operatori del campo musicale. Rota se ne andò lasciando un catalogo ricco ma soprattutto lasciando la genialità di un uomo che era riuscito a coniugare alla scrittura applicata al cinema una perfetta contemporaneità anche usando un linguaggio tonale.
Rota veniva dalla scuola compositiva di Ildebrando Pizzetti e di Alfredo Casella. Aveva studiato tantissimo l’avanguardia e il cosiddetto verismo. Era un musicista colto perché ricco di letture e approfondimenti. E non di meno le sue conoscenze erano legate ad ambiti culturalmente alti della Milano di allora e non solo. Si sa che studiò al Conservatorio Verdi della sua città ma questo gli servì soprattutto per avere una struttura e dare una giusta dimensione alla disciplina compositiva. Era un ottimo pianista e aveva con la musica un rapporto così confidenziale e diretto che gli rendeva qualsiasi spartito o partitura di facile esecuzione.
LEGGENDE
Le leggende sulle sue scritture in qualsiasi luogo, l’epifania di un brano per Fellini nato in tempi brevissimi e soprattutto quella duttilità fatta di tensioni e di interiorità lo fecero essere un musicista come pochi. Ma la sua innata modestia e quella raffinatezza di carattere, la sua non imposizione del suo sapere e del suo essere comunque sopra la massa, non gli permisero di emergere come gli era in vita dovuto. Certo fu un compositore di grandissimo successo ma spesso fu snobbato dalla critica e dai suoi colleghi. Non fu furbo come altri compositori per il cinema da creare una «nobiltà» dello scrivere per l’immagine. Per Rota comporre non aveva differenze e non aveva limiti, fosse per il cinema, il balletto, la televisione, l’orchestrina da ballo.
Eppure egli aveva scritto delle sinfonie complesse e belle, dei Concerti per pianoforte e orchestre che resero la vita non facile anche a Benedetti Michelangeli (al quale dedicò il Concerto in do) e alcuni balletti come Le Moliere immaginaire per Bejart. La sua era una scrittura intrisa di storia e di narrazione, conosceva benissimo la letteratura impressionista francese, conosceva Ravel come pochi e non disdegnava per nulla il contemporaneo, solo che l’idea di allontanarsi dalla tonalità non gli era propria. Era un uomo cresciuto in una logica che non ammetteva astrazioni se non rimanendo nella norma. Un pregio, non un difetto.
OSTACOLI
Il fatto che lui come molti compositori della sua generazione venisse in qualche modo ostacolato e anche deriso dai giovani colleghi non fece altro che alimentare quella considerazione non sincera che c’era verso il suo scrivere musica. Ma erano anni in cui le lotte politiche coincidevano con quelle artistiche, erano gli anni dei processi a De Gregori e all’accusa di qualunquismo a Battisti. Insomma non era facile e lui morì troppo presto per poter vivere quella sorta di rinascita della sua musica e del suo pensiero. Si laureò in lettere con una tesi su Gioseffo Zarlino che voleva dire avere conoscenze approfondite sia di fisica che di acustica. E la sua strada fu segnata dall’insegnamento e dall’abbandono di Milano per Roma e soprattutto per Bari dove nel tempo divenne direttore del Conservatorio. «Lui era un musicista a cui piaceva giocare con la musica e si divertiva a scrivere per il cinema facendo risparmiare un sacco di soldi ai produttori proprio per la sua duttilità compositiva». È Giuseppe Grazioli ad esprimersi così su Rota; il direttore milanese è uno dei pochissimi che a tutt’oggi ha nella sua disciplina di progettualità l’idea di recuperare il Rota sinfonico. Grazioli ha quindi intrapreso con la Verdi di Milano questo ambizioso progetto che ad oggi ha realizzato 6 doppi cd nei quali c’è una buona parte della produzione non cinematografica di Rota, con alcune incursioni felliniane e non solo. Grazioli spiega che «è necessario inserire la musica da film di Rota anche per poter permettere al grande pubblico di conoscere ciò che non è cinematografico. Credo che la gente ami andare per categorie e questo mi ricorda che Rota è stato un grandissimo sinfonista ma nella memoria comune è stato soprattutto autore di musica per film e per Fellini in particolare».
È vero anche che Grazioli porta avanti un progetto di rinascita su Rota iniziato diversi anni fa da Riccardo Muti che aveva inciso 3 cd due per la Sony e uno (con i concerti per pianoforte e orchestra) per la Emi con la Filarmonica della Scala. Ma Grazioli aveva già iniziato incidendo Lo scoiattolo in gamba (Bottega discantica), il Concerto Soirée e altre opere sinfoniche (Naive), La visita meravigliosa (Bottega discantica) ed è stato il primo e unico a riprendere Napoli milionaria, la sfortunata opera spoletina che fu eseguita e registrata in dvd al Festival della Valle d’Itria nel 2010(Festival della Valle d’Itria).
Anche Gianandrea Noseda aveva inciso qualche anno fa un cd sinfonico di Rota (Chandos). Nel 1999 Mario Monicelli diresse il documentario: Un amico magico: Il maestro Nino Rota (Cinecittà Luce) che è uno di quei documenti di rara bellezza e di profonda stima. Il Maggio Fiorentino aveva ripreso Il cappello di Paglia di Firenze nel 2011 e nel 2017 sempre a Firenze a opera del Teatro del Giglio, mentre il San Carlo lo aveva proposto nel 2018 e precedentemente nel 2014 il Petruzzelli di Bari. E proprio la città di Bari ha cercato di tenere viva la memoria di Rota con una serie di iniziative fra cui il recupero del pianoforte che il compositore usava quando era direttore del locale Conservatorio. Così come è stato finalmente riaperto nel 2017 l’Auditorium a lui dedicato.
La parte della ricerca filologica e musicologica è nelle mani della Fondazione Cini di Venezia dove da diversi anni è allocato il fondo Nino Rota sotto la responsabilità di Francesco Lombardi. È grazie a questa istituzione che si sono avuti nel corso del tempo le ricerche più interessanti dedicate al nostro musicista. Oltre ad una serie di pubblicazioni musicologiche è del 2017 il Convegno Prima della Dolce Vita: Nino Rota nel cinema popolare italiano del secondo dopoguerra, organizzato oltre che dalla Cini dalla Ca’ Foscari di Venezia. Inoltre grande impulso lo dette Giovanni Morelli che da docente di Storia della Musica della Ca’ Foscari fu fra i più strenui propositori della rivalutazione dell’opera di Rota.
La Cini ha attualmente digitalizzato tutto il materiale di Rota che è possibile anche e in parte trovare in rete sul sito della Fondazione. In tutto questo, meritori sono i concerti che ricordano il quarantennale della sua scomparsa ma nessuna fondazione lirica ha posto in essere una rappresentazione di una delle sue opere. Almeno fino ad oggi. La ricerca e il recupero delle carte ha portato alla stampa di alcune composizioni inedite che sono ora impresse per i tipi della Schott Music grazie al lavoro di Bruno Moretti (che aveva collaborato con Rota), il quale ha avuto accesso agli originali e ha cercato di ricostruire molto materiale. Non esiste però una biografia sistematica. Ma mentre si celebrano altri compositori per il cinema, di Rota rimane ancora molto da fare e la strada è veramente lunga. A quaranta anni dalla sua morte.