I presidenti delle regioni hanno presentato ieri al governo la loro proposta di riforma degli indicatori epidemiologici, il sistema di 21 parametri utilizzato dal governo per classificare il rischio delle regioni e stabilire il livello di restrizioni mirate a frenare la pandemia. A giudicare dal documento consegnato ai ministri, i governatori hanno soprattutto un obiettivo: mandare in soffitta l’indice Rt, il parametro che quando supera 1 segnala un’epidemia in espansione e fa scattare automaticamente le zone arancione e rosse. Rt viene misurato sulla base dell’andamento del numero dei casi sintomatici, indipendentemente dalla loro gravità. Nella fase attuale è sotto controllo, grazie alle vaccinazioni e alle misure rispettate nelle scorse settimane. Ma se i casi diminuiranno ulteriormente, basteranno piccoli focolai anche di scarsa rilevanza epidemiologica per farlo risalire sopra la soglia di sicurezza. E far scattare le temute chiusure che comprometterebbero la stagione turistica tanto agognata dagli operatori economici. Per scongiurare questa possibilità, i governatori hanno chiesto al governo di stabilire le restrizioni sulla base dell’incidenza del virus. La zona bianca scatterebbe con meno di 50 nuovi casi positivi per centomila abitanti in sette giorni, quella gialla tra 50 e 150, arancione tra 150 e 250, rossa al di sopra di questa soglia.

Gli esperti consultati dal governo, come Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler, hanno risposto che l’incidenza è un numero utile per avere una “fotografia” della situazione, ma non è adatto a valutarne l’evoluzione e anticipare le mosse del virus, il vero scopo di Rt. Il compromesso avanzato dalle regioni consiste nel calcolare Rt, ma solo includendo i pazienti ospedalizzati. La speranza delle regioni è che questo indice non si muova troppo nei prossimi mesi, visto che la popolazione più a rischio di ricovero (persone anziane e pazienti fragili) sarà in buona parte vaccinata. Secondo i governatori, è giusto continuare a monitorare il sovraccarico degli ospedali, come fatto finora.
In cambio, però, chiedono di smettere di valutare gli indicatori relativi all’attività di tracciamento dei focolai. Il contact tracing era uno dei pilastri della strategia post-lockdown disegnata dal primo Comitato tecnico scientifico, ma non aveva mai funzionato davvero. Invece di rafforzarlo con nuove risorse, le regioni chiedono di non essere più obbligate a garantirlo.

Per vigilare sull’attività di sorveglianza epidemiologica, le regioni propongono di valutare solo il rapporto tra test eseguiti e casi positivi, il cosiddetto “tasso di positività”. In questi ultimi giorni, il tasso di positività ha raramente superato il 4%, grazie a circa trecentomila tamponi (tra antigenici e molecolari) eseguiti giornalmente. L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di rimanere al di sotto del 5%. Ma tutta questa sorveglianza ai governatori deve apparire troppo onerosa: la loro proposta è di impegnare le regioni a eseguire un numero di tamponi proporzionale all’incidenza, e in sostanza tollerare che il tasso di positività arrivi fino al 14%. Un valore simile è stato raggiunto solo durante i picchi delle ondate epidemiche, quando eseguire un numero di test sufficiente per tenere il passo del virus era effettivamente complicato. Non è chiaro perché, con un numero di casi in prevedibile discesa, le regioni debbano allentare così tanto la vigilanza. A meno che non si voglia smettere di cercare i casi per essere sicuri di non trovarne.

Se la manovra delle regioni andrà in porto, il risultato sarà l’ufficiale rinuncia alla strategia delle “3T” (test, tracciamento e terapie) raccomandata dagli esperti internazionali di salute pubblica. «Il nostro auspicio è che si arrivi entro questa settimana a una proposta condivisa Governo-Regioni che vada in questa direzione» dice il presidente del Friuli, il salviniano Fedriga, che nella trattativa gioca un ruolo da protagonista.

Il ministro Speranza, assai debole negli attuali equilibri politici, ha dato un ok di massima: «Il modello adottato in questi mesi ha funzionato e ci ha consentito di affrontare la seconda e terza ondata senza un lockdown generalizzato» avrebbe detto ai governatori. «Nella nuova fase, caratterizzata dal forte avanzamento della campagna di vaccinazione e dai miglioramenti dovuto alle misure adottate, lavoriamo con l’Iss e con le regioni per adeguare il modello immaginando una maggiore centralità di indicatori quali l’incidenza e il sovraccarico dei servizi ospedalieri».