Ormai non contano più niente, screditate per le loro ordinarie immoralità, maltrattate per le loro incapacità , disprezzate dal governo perché istituzioni che non governano. Sono il simulacro di se stesse. Senza scampo, appaiono sottomesse ad un cesarismo del governo che le irride e le piega ai propri voleri. «Fate più efficienza», dice Padoan; «smettete di dire bugie i soldi che vi diamo sono più che sufficienti» ammonisce Renzi.

Sergio Chiamparino, dopo essersi tagliato da solo il fondo sanitario nazionale, non può dire ora che i soldi non gli bastano e quindi sospende il giudizio. In realtà non vede l’ora di tagliare la corda. Non fa che dire che non si dimette per la legge di stabilità ma per i debiti della sua Regione, anche se si dovrebbe dimettere proprio per questa legge. Poi c’è Enrico Rossi. Il presidente della Toscana, con 50000 firme sul groppone cioè con un referendum popolare contro la sua politica sanitaria, fa il bookmaker e vuole sapere da Renzi se il «governo scommette sulla sanità pubblica». E lui ci scommette? Oppure Catiuscia Marini la presidente dell’Umbria. Con disarmante semplicità ci dice che le regioni non sono le controparti del governo ma delle semplici dependance del governo dove alloggia la servitù. Insomma la sanità è colpita ancora una volta, e a parte i tagli, è l’intero sistema istituzionale che decideva con la concertazione sul suo finanziamento ad essere stato azzerato.

Il rapporto tra sanità e politica ormai non ha più alcuna intermediazione né istituzionale, né sindacale. Il definanziamento della sanità è un imperativo categorico del governo al quale tutti devono attenersi . Dalla spending review siamo passati allo spending power. Ormai a comandare sulla sanità c’è solo ed unicamente Renzi. Quindi Regioni addio, ma addio anche al ministero della salute, politicamente inconsistente, spaesato, con la Lorenzin lacera e smarrita ridotta ormai all’accattonaggio nella speranza di evitare lo sciopero dei medici raggranellando qualche spicciolo per tacitarli.

Mai come ora la sanità pubblica è stata sola di fronte alle politiche del governo. E’ questa solitudine oggi il suo peggior nemico.

Gli unici ad opporsi oggi sono i medici. Pensate un po’, la figura professionale più moderata della sanità, la più borghese di tutte, la più consociativa e accomodante, che per anni, nonostante il mondo andasse da un’altra parte, ha usato il suo peso sociale per cambiare il meno possibile. I medici contro Cesare. Roba da matti! Il 28 novembre a Roma si svolgerà la loro manifestazione e nello stesso giorno sempre a Roma le confederazioni sindacali faranno la stessa cosa ma sul rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Si ammetterà che in queste strane contestualità, dicotomie e giustapposizioni qualcosa non va. Come si fa a tenere separati il lavoro nel Pi e la sanità e i suoi diritti ? Ma soprattutto come si fa a delegare solo ai medici una battaglia generale come è quella della difesa dell’art 32 della Costituzione?

I medici, scendono in piazza per sopravvivere come medici, perché in sanità l’attacco al lavoro in generale e al loro in particolare, ma soprattutto al loro ruolo, vale come la fine della loro professione e nello stesso tempo come la più efficace strategia contro la sanità pubblica. Ma oggi si può accettare di decapitalizzare il lavoro, soprattutto dei medici, per far fuori la sanità pubblica? I contratti nel Pi certamente mediano i rapporti tra lavoro e welfare ma proprio per questo essi non sono più solo un problema lavoristico e il welfare non è più solo una forma di redistribuzione del reddito. Al contrario sono gli strumenti senza i quali i diritti grazie al Pi diventano non esigibili.

Il pubblico impiego con la decapitalizzazione del lavoro perde la sua funzione sociale. Ma allora, se è così, perché non fare una manifestazione unitaria sui diritti impediti dalla decapitalizzazione del lavoro di cui i contratti sono solo uno dei problemi e riunificare in un blocco sociale tutte le categorie pubbliche interessate? Ma soprattutto perché non costruire una piattaforma sul lavoro come terreno di riforma per la sanità per dimostrare che vi è un’altra idea di sostenibilità e di sviluppo? Perché non allargare la difesa del lavoro oltre i rinnovi contrattuali, visto che il lavoro, se ripensato, può combattere le tante diseconomie della sanità? Se la sanità e i medici saranno lasciati soli per noi cittadini, sarà dura.

La legge di stabilità a parte i tagli lineari, prevede una standardizzazione delle prestazioni misurata sui “prezzi base” più bassi cioè sganciata dai bisogni effettivi delle persone. Ministero e Regioni, messe alle strette dal governo, hanno pensato di risparmiare cambiando la natura professionale del medico e ridimensionando la natura pubblica del sistema. Per loro fare davvero il medico e avere una buona sanità pubblica è incompatibile con le risorse assegnate. Ma questo è un problema solo dei medici o di tutti noi? Per carità sappiamo tutti che i medici non sono stinchi di santi e che da perfetti individualisti si sono sempre fatti gli affari loro, ma da questo derivarne la necessità di manomettere perfino i loro doveri, mi pare francamente eccessivo. Se la solitudine della sanità non diventerà un nostro problema i medici perderanno la loro battaglia ma noi i nostri diritti .