Non una chiesa con la sua facciata barocca, ma un teatro, il Comunale di Novoli, trasforma la piazza in centro pulsante del paese. Recentemente riportato alla pulizia di fine Ottocento, da questo spazio «all’italiana», gestito da Factory compagnia transadriatica e Principio Attivo, prendono vita I teatri della Cupa per dilagare nelle vie e nei palazzi dei paesi limitrofi, Trepuzzi e Campi Salentina, e fino alle preziose mura con affreschi bizantini dell’Abbazia di Santa Maria di Cerrate. E sono Factory e Principio Attivo Teatro a organizzare questo festival, che giunto alla sua quarta edizione ha voluto chiamare a raccolta le realtà pugliesi indipendenti, ponendole in dialogo con alcune delle esperienze nazionali più vivaci.

Accanto alle Parole imbrogliate di Massimiliano Civica che smessi i panni di regista scivola in un’affabulazione catalizzante intorno alla vita di Eduardo, senza dimenticare però di trovarsi a Campi, nel paese natale di Carmelo Bene (dove si sta per inaugurare un nuovo teatro a lui intitolato), Oscar De Summa torna a Diario di provincia, il primo capitolo dell’ormai conclusa trilogia dedicata al suo Erchie, paese del brindisino, emblema di un Sud assolato e impoverito, che pullula di sogni falliti dei pochi giovani rimasti. Certo, dopo il decennio della rinascita culturale, dei vini doc e delle etichette musicali esportate in tutto il mondo, in Puglia sembra di nuovo faticoso realizzare un progetto. Lo sanno i direttori della Cupa, Tonio De Nitto e Raffaella Romano, che nella Valle della Cupa insistono nell’idea di un festival dialogante con il territorio e aperto ad arditi esperimenti.

Una scena che serve a Roberto Corradino per scavare nel rapporto madre-figlio e riconsegnarlo libero da autobiografismi, con una scrittura ironica e tagliente, sostenuta con garbo e intelligenza da Teresa Ludovico. La madre, anzi le Mamme di Annibale Ruccello sono state rubate da Danilo Giuva e tradotte in foggiano, trasformandosi in un onnipotente sostantivo singolare ma mutante, che da Basile arriva alla degradazione degli anni Ottanta.

Gaetano Colella invece è col padre che combatte, nel suo Icaro caduto racconta il mitico schianto e la sopravvivenza da essere deforme, e il crescente odio verso un uomo schiavo delle sue visioni che di lui non si è curato e ne ha fatto un mero strumento per le sue invenzioni. Un poemetto desolante e crudele, corposo non solo per fisicità dell’attore, ma alla fine liberatorio. Si direbbe che la generazione dei quarantenni non riesca a svincolarsi dai legami genitoriali…

La società non sostiene alcuna emancipazione, anzi, lega alla famiglia a doppio filo, con intrallazzi e nepotismi, falsi valori e compromessi. Legalità e verità sembrano chimere, ma Tonio De Nitto vuole insistere nel perseguire, anche con la messinscena del Misantropo di Molière, tradotto e riadattato da Francesco Niccolini. Quasi un kolossal per le economie della Factory, otto attori guidati da Ippolito Chiarello per gridare la propria diversità.