A pochi giorni dalla sua uscita su Netflix, la nuova serie ideata da Brian Yorkey – Tredici – è già al centro di una polemica piuttosto assurda: alcuni sostengono che la sua rappresentazione del suicidio di una teenager, la protagonista «in assenza» Hannah Baker, possa essere nociva per quei coetanei del personaggio per i quali la serie è pensata.

Hannah si è dunque uccisa, ma prima di farlo ha mandato ad amici e compagni di scuola delle audiocassette in cui spiega in che modo tutti loro siano stati responsabili della sua morte con la loro occasionale cattiveria, deliberata o involontaria. A dispetto delle critiche che ha ricevuto, il limite di Tredici è insito piuttosto nella sua natura di manuale del politically correct e di condanna superficiale del bullismo, condita da massime come «Facebook e Twitter ci hanno resi una società di stalker». Hannah – intelligente e fantasiosa – sembra non avere mezzi per difendersi dal bullismo , come se non esistesse alcuna dimensione familiare e interiore da poter opporre ai mostri del mondo esterno. Un pensiero che forse rassicura chi crede che una serie tv possa incitare al suicidio.