Ad Atene, un importante uomo politico dall’appassionata oratoria si trova a combattere contro la penetrazione di un governante straniero che, con il pretesto di un’unificazione forzata, cerca di conquistare il potere in città accattivandosi le simpatie delle oligarchie locali, le quali sperano – attuando il suo programma – di poter mantenere i propri privilegi, di continuare a rendere «invisibili» i loro patrimoni, di spadroneggiare come hanno fatto per molti anni.

Quell’uomo politico propone di modificare il regime delle contribuzioni in modo da renderle davvero proporzionali alla ricchezza, e di rafforzare il sistema dei controlli affinché i personaggi pubblici non danneggino coi loro comportamenti la fiducia dei più nelle istituzioni, e non rivendichino come patria il luogo dove tengono i loro risparmi, anziché quello dove sono nati. (…) Quell’uomo politico s’indigna se vede le dimore dei potenti curatissime e sfarzose feste private e, d’altra parte, gli spazi comuni – le strade, le piazze – in piena decadenza, i luoghi pubblici negletti o addirittura svenduti. (…)

Quell’uomo politico ritiene che Atene abbia insegnato al mondo non solo l’uguaglianza dei diritti e l’uguale facoltà di parola, bensì anche un’idea di stato e di democrazia fatta di forti slanci ideali, in cui i meno fortunati sono trattati e curati come genitori della polis, per evitare di averli nemici e per coinvolgerli nelle decisioni e nelle azioni.

Quell’uomo, naturalmente, è Demostene, e siamo nel IV secolo a.C.

[Si vedano: Classici contro, Milano, Mimesis 2012; J. Ober, Mass and Elite in Democratic Athens, Princeton 1989].