Il referendum sulla cannabis si avvale della forte spinta sociale per un nuovo approccio di politica delle droghe: con buona pace di chi ha criticato la «democrazia del click», il raggiungimento del quorum delle 500 mila firme in pochi giorni testimonia da sé la sensibilità politica sul tema. L’urgenza di una modifica legislativa scaturisce dal contrasto fra la crescente accettazione sociale dell’uso di cannabis (legata alla percezione diffusa di poter adottare modelli “controllati” d’uso) da un lato, e dall’altro la penalità forte e indiscriminata della normativa antidroga che il referendum del 1993 ha mitigato solo in parte.

Quanto all’intervento della Corte Costituzionale del 2014 che ha abrogato buona parte della Fini-Giovanardi, esso ha fortunatamente ristabilito la distinzione nel trattamento penale fra droghe pesanti e leggere: un buon auspicio per il referendum oggi in campo, che si colloca sulla scia di quel pronunciamento, per distinguere ulteriormente i rischi delle diverse sostanze psicoattive.

Alla base delle modifiche referendarie è il bilanciamento fra il (basso) rischio per la salute della cannabis e i danni acclarati di una penalità forte e indiscriminata, che nasce dall’impianto stesso della legge. Questa accomuna una pluralità di condotte illecite di diverso rilievo che si “appoggiano” sul semplice possesso di sostanza. Con ciò la repressione punta “al basso”: consumatori e piccoli spacciatori (perlopiù della sostanza meno pericolosa, la cannabis) sono i soggetti privilegiati nel mirino dei tutori della legge: per loro la giustizia è veloce, con condanne sicure e il carcere come destinazione preferita.

Tale giudizio si basa sul monitoraggio della legislazione antidroga, condotto da un pull di Ong che ogni anno redigono i Libri Bianchi. Il XII Libro Bianco 2021 bene documenta la centralità della droga nell’attività della giustizia e delle forze dell’ordine: 235.174 procedimenti penali pendenti nel 2020, il dato più alto da 15 anni a questa parte; il 30, 8% degli ingressi in carcere avviene per violazione dell’art.73 del Testo Unico sulle droghe. Non possiamo sapere quanti di questi ingressi riguardino la cannabis poiché i dati ufficiali non registrano le differenze fra le sostanze: questa assenza è di per sé sintomo di un preciso approccio ideologico e culturale, di indistinta «lotta alla droga», al singolare.

Un indizio della sproporzionata pressione sulla cannabis proviene dai dati circa le segnalazioni e le sanzioni amministrative: delle 31.000 segnalazioni nel 2020 – cifra ragguardevole specie se si considera che il 2020 è stato l’anno del lockdown – il 74,4% ha riguardato la cannabis. Dal 1990, un milione e trecentomila persone sono state segnalate per possesso di sostanze a uso personale, di cui quasi un milione (il 73,2%) per cannabis. Un bell’esempio di repressione verso i “pesci piccoli” è rappresentato dall’incriminazione di molti cannabisti «del balcone di casa».

La maturazione sociale sulla questione cannabis è stata accompagnata da un vasto movimento, di portata internazionale. Il conflitto fra i tough on drugs e i sostenitori delle mild policies si è consumato principalmente sul trattamento penale e sulla visione culturale della cannabis, negando da parte dei primi che si potesse parlare di «droghe leggere». Non a caso l’allora vice premier Giancarlo Fini, nel 2003, scelse Vienna, sede del governo Onu delle droghe, per annunciare la svolta repressiva al grido di «la droga è droga». In seguito, i referendum in 19 stati Usa hanno invertita la rotta, la cannabis è depenalizzata in molti stati europei e legalizzata in Canada e Uruguay.

In Italia, la battaglia per decriminalizzare la cannabis (e depenalizzare il consumo di tutte le droghe) è stata condotta avendo come primo interlocutore il parlamento: una larga coalizione di Ong, fra cui quelle promotrici del referendum, si è cimentata nella stesura di proposte di legge in accordo con parlamentari disponibili a presentarle. Sono state raccolte le firme anche per una legge di iniziativa popolare. Solo che il parlamento non ha dato risposte. Se è vero che il referendum nasce in sinergia con l’iniziativa verso il parlamento, la vittoria potrebbe essere decisiva anche per vincere l’inerzia parlamentare.