La riedizione di un «classico»: in epoca Covid-19 torna l’opera che a fine Ottocento apre le porte alla ricerca sulle tradizioni orali, sul folclore regionale, sulla lirica popolaresca e indirettamente sugli studi etnomusicologici. Ma c’è molto di più: oggi Canti popolari del Piemonte di Costantino Nigra è un libro nel libro, quasi un testo multimediale, dove accanto all’originale, c’è la nuova curatela di Franco Castelli, Emilio Jona, Alberto Lovatto che redigono 140 pagine introduttive e accludono due cd con 155 esempi sonori registrati in svariate occasioni tra il 1954 e il 1988.

GRAZIE A UN LUNGO DIALOGO con i tre esperti, tutti rigorosamente «piemunteis», si scopre che di fatto la pubblicazione è un progetto voluto dall’editore Neri Pozza a proseguire l’encomiabile Al rombo del cannon. Grande Guerra e canto popolare (2018): un progetto editoriale lontano da tentazioni celebrative, se si pensa che «Il Nigra», uscito per la prima volta nel 1888, viene ripreso da Einaudi nel 1957 in coincidenza dell’anniversario della scomparsa dell’autore e ancora nel 2009 a ridosso del centenario.

La nuova riedizione è piuttosto da leggersi in dialettica agli ultimi quindici anni di ricerche dei tre curatori, che scoprono come la ballata e il canto narrativo di Nigra spesso trovino spazio appunto nel primo conflitto mondiale, tragedia immane e al contempo laboratorio culturale straordinario dove il repertorio canoro ottocentesco completa l’iter di trasformazione: il dialetto lentamente cede il posto all’italiano popolare, le antiche arie modali sostituite da melodie di stile e gusto moderni. Talvolta antiche storie raccolte dal Nigra si relazionano alle vicende del ’15-‘18: ad esempio La sposa morta diventa Signor capitano mi dia licenza con il noto ritornello Portantino che porti quel morto; Il testamento del marchese di Saluzzo trova riscontro ne Il capitan della compagnia; la ballata La Guerriera vede la giovane ragazza andare in guerra (al posto del padre o del marito o dell’amato) non sul cavallo, ma montando in reoplano e sul Piave la se ne va.

Il Conte di Cavour e Costantino Nigra

PROPORRE NEL 2020 Canti popolari del Piemonte per Castelli-Jona-Lovatto, guardando al contesto sociopolitico e ai trend intellettuali, significa porsi in totale controtendenza rispetto alla comunicazione rapida e istantanea che oggi domina relazioni e culture, attraverso un lavoro di studio lento, paziente e appassionato che si sforza di confrontare i risultati di un secolo e mezzo di indagine filologico-folklorica sul canto popolare (nell’accezione prevalentemente poetico-letteraria), con le risultanze inedite della ricerca sul campo, svolta nell’ultimo mezzo secolo: intenzione ambiziosa, difficile da espletare per tanti motivi, tra cui da un lato la dispersione dei fondi sonori (frutto quasi sempre di ricerche personali e locali), dall’altro l’arretratezza del sistema archivistico italiano nelle fonti orali.

PER TALI RAGIONI il «nuovo» Nigra arriva percorrendo la strada della messa in rete di archivi sonori, onde continuare a lavorare oggi, sfruttando le risorse offerte dalle nuove tecnologie, con una moderna visione comparatistica e multidisciplinare: contro ogni tentazione di consumo acritico e superficiale del «folk», se si vuole comprendere appieno la straordinaria forza e umanità del canto nel mondo popolare, occorre tornare alle radici vissute, recuperarne le fonti sonore primarie, mediante un’attività che richiede tempo, studio, ascolto e partecipazione.

L’esito straordinario del nuovo Nigra deriva del resto da una comunanza d’intenti che dura da oltre vent’anni, a partire dai due volumi sui canti della monda e sui canti degli operai di Torino (Senti le rane che cantano e Le ciminiere non fanno più fumo, per Donzelli) e grazie all’appartenenza a tre generazioni diverse con background di ascolti e di ricerche abbastanza esteso: Jona inizia le proprie ricerche alla fine degli anni Cinquanta, Castelli nella seconda metà dei Sessanta, mentre Lovatto si avvicina all’etnomusicologia seguendo le lezioni di Roberto Leydi al Dams di Bologna.

L’esperienza forse più faticosa, nel riproporre il Nigra, resta la selezione dei brani per i due cd, partendo dal fatto storico che gli studiosi dell’Ottocento, nel definire i canti di tradizione orale, parlano di poesia popolare, a testimonianza della maggiore attenzione per il testo dei canti stessi: è dunque una scelta «rivoluzionaria», nel volume del 1888, che il Nigra inserisca le trascrizioni musicali delle melodie di 16 su 153 canti: oggi forse poca cosa, ma allora un’eccezione rispetto agli studi del tempo.

DOPO LA PARENTESI FASCISTA, che inibisce l’etnomusicologia, è solo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento che in Italia gli studiosi di tradizioni popolari iniziano a raccogliere sistematicamente registrazioni sonore, recuperando anche molti canti narrativi, studiati e pubblicati appunto dal Nigra: è da qui che, nel progettare la riedizione, emerge la possibilità di ascoltare oltre a leggere i canti medesimi. Si parte dalle musiche del 1954 «catturate» da Alan Lomax durante l’apposito soggiorno italiano. Per giungere a «dar voce» a 87 dei 153 testi pubblicati nel 1888 Castelli-Jona-Lovatto ricorrono ai fondi sonori dell’ex Crel, oggi Creo, Centro Ricerca Etnomusica e Oralità (a Torino), nonché agli archivi sonori via via del Centro etnografico canavesano di Amerigo Vigliermo, dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, della raccolta Lomax (New York), della raccolta Leydi (Bellinzona), dell’efficiente Archivio sonoro della Regione Lombardia e di vari archivi privati, come quelli del politologo Cesare Bermani e del folksinger Maurizio Martinotti, entrambi comunque votati alla ricerca etnomusicologica.

Come per i precedenti lavori sui canti di risaia, sui canti operai e sui canti della Grande Guerra, l’elaborazione audio delle antologie sonore viene curata da Flavio Giacchero, sino a offrire anche un panorama degli stili e dei modi di eseguire i repertori: canto solistico e canto a più voci; canto maschile e canto femminile; canto in situazioni e contesti privati, nella casa o nella stalla, ed esecuzioni pubbliche in osteria. Il «Nigra 2020» è altresì arricchito da un inserto fotografico, suddiviso in due parti: nella prima una serie di immagini di Costantino Nigra e degli studiosi con cui si confronta direttamente lungo il XIX secolo; nella seconda un completamento dell’appendice sonora con gli scatti di alcuni ricercatori e di alcuni testimoni le cui esecuzioni sono nei due cd.

Costantino Nigra

Il senso del testo in ogni canto

«Sono pure pubblicate – scrive Nigra – alcune poche melodie popolari, in verità troppo poche, delle quali ho serbato memoria, o che furono trascritte dai miei collaboratori». Scarne, viste oggi, sono pure le informazioni sui testimoni: comunque spunti preziosi, che consentono di capire come Nigra lavora da ricercatore e come avvenga il passaggio della memoria orale. Prevale il mondo femminile tra le esecutrici delle ballate raccolte dallo studioso, donne di estrazione contadina che, anche quando vivono in città, non perdono l’originaria matrice etno-socio-culturale: vendemmiatrici, una ragazza pecoraia, donne di servizio e cameriere, una portinaia, una «fantesca». Ed è curioso che le due uniche eccezioni si riferiscano a maschi, ascoltati in uno spazio pubblico, dai mestieri irregolari: un venditore di immagini per strada e un suonatore ambulante che chiede la carità. Pur in assenza di rimandi musicali diretti emerge comunque una precipua attenzione alla realtà esecutiva nelle persone che ricordano e cantano; purtroppo mancano a Nigra tutti i mezzi di osservazione dell’etnomusicologia novecentesca, ma ciò non gli impedisce di percepirne la storia guardando ai contesti e non solo alla testualità, fino a confrontare oltre 500 testi e varianti. Per Nigra, infatti, la storia di un canto non è quella del contenuto ma è la storia del testo, del modo in cui trova espressione entro una determinata lingua e con le varianti eseguite in luoghi e circostanze diverse, varianti che Nigra confronta e analizza con una metodologia fortemente innovativa e ancora utile oggigiorno. (g. mic.)