Il progetto si chiama Free the Bid: una sorta di applicazione delle quote rosa al mondo della pubblicità made in Usa. In un’intervista all’«Hollywood Reporter», la sua fondatrice – la regista Alma Har’el – racconta come dall’inizio della campagna nel settembre del 2016 sia notevolmente aumentato il numero di donne ingaggiate dalle agenzie pubblicitarie per girare spot televisivi.

Free the Bid significa letteralmente «liberare l’offerta»: quella cioè delle agenzie pubblicitarie ai loro clienti – che si tratti Coca Cola (per la quale Har’el ha girato lo spot del Superbowl di quest’anno) o qualunque altro brand interessato a sponsorizzare il proprio prodotto in televisione. Di solito, ogni agenzia offre al cliente tre progetti possibili, e a ognuno è associato il nome di un regista che lo svilupperebbe. La campagna iniziata da Har’el prevede che, fra queste tre idee, una debba necessariamente essere associata al nome di una regista donna.

Aumentare la «quota» femminile nel campo della pubblicità, spiega infatti Har’el, significherebbe rendere più semplice l’accesso delle donne anche alle regie cinematografiche: «Il mondo dell’advertising ha sempre ’nutrito’ quello hollywoodiano»: è il caso di registi di successo come Michael Bay, Michel Gondry o Spike Jonze. Lavorare nella pubblicità consente infatti di imparare il mestiere – anche nei suoi aspetti più «burocratici» (rapportarsi con un brand o un’agenzia pubblicitaria è simile al tipo di rapporti che si instaurano poi con gli Studios), e – forse ancor più importante – consente di crearsi la stabilità economica necessaria per portare avanti i propri progetti.

Quest’anno, sia i Golden Globes che i prossimi Oscar sono stati criticati per lo scarso numero di candidature assegnate alle registe di Hollywood e dintorni rispetto ai loro colleghi uomini. Ma in questo momento storico in cui le «pari opportunità» nel cinema sono spesso al centro del dibattito, è forse proprio un’iniziativa come Free the Bid a offrire una delle tante possibili soluzioni alla diseguaglianza, rispetto a critiche che partono «dall’alto» e si limitano a registrare lo stato delle cose senza offrire delle strategie – e che portano anzi spesso al risultato opposto a quello desiderato, come ad esempio sovrastimare progetti e film sulla base di necessità politically correct.

Quando la sua campagna – che offre alle agenzie anche un «listino» di oltre 400 registe di diversa esperienza – è cominciata, Har’el racconta che spesso le veniva fatta notare proprio la mancanza di talenti al femminile a cui rivolgersi. «La gente mi diceva ’che cosa dovremmo fare? Assumere Kathryn Bigelow per ogni progetto?’».

Oggi invece, a neanche due anni dalla nascita di Free the Bid, il numero di registe di pubblicità è notevolmente aumentato: Susan Credle, a capo del dipartimento creativo dell’agenzia FCB Global, rivela all’ «HR» che gli spot da loro prodotti girati da registe sono passati dal 10 al 30% da quando l’agenzia ha aderito all’iniziativa l’anno scorso. «Stiamo cercando di dare alle donne l’opportunità di entrare ’in campo’ – conclude Har’el – così che possano lavorare. E venire pagate per farlo».