«I fatti hanno la testa dura», la citazione è obbligata. Con tempismo perfetto, all’indomani delle dichiarazioni della ministra per le Riforme Boschi contro «i professori» che da «trent’anni bloccano le riforme», arriva la frenata di Berlusconi sul ddl costituzionale sul Senato. Poi, come da tradizione, smentita. Sarebbe l’ennesimo stop in 15 anni, come ogni volta dopo mesi di minuetti cortesi: per la precisione sarebbe il quinto stop delle riforme per mano dell’(oggi) ex Cavaliere. Una vera via Crucis.

La madre di tutte le cadute, la prima, fu quella della Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, nel ’98, che salta all’ultimo miglio: Berlusconi vuole inserire la riforma della giustizia. Passano dieci anni, la ’bozza Violante’, nel 2007, è un accordo su forma di governo, composizione del parlamento, e senato federale. Il testo viene votato in commissione alla camera, e poi mandato a stendere dal centrodestra, causa scioglimento anticipato delle camere. Nella sedicesima legislatura tocca al socialista Vizzini presiedere, ancora in commissione, una delicata trattativa sulle riforme. L’accordo fra Pd e destre c’è: sul superamento del bicameralismo perfetto e sul rafforzamento dei poteri del premier. Ma solo sulla carta, è il maggio del 2012. Il 25 luglio il senato approva un testo che si discosta dall’accordo: il Pdl ha ’cambiato verso’ e vuole il presidenzialismo. La storia finisce lì.

Nel 2013, e siamo arrivati questa legislatura, sotto la guida di Enrico Letta, Pd e Pdl concordano su un percorso di riforme istruito da due successive commissioni di ’saggi’. A maggio viene approvata la modifica dell’art.138 della Costituzione, per (è la motivazione ufficiale) sveltirne l’iter. A ottobre il Pdl (poi di nuovo Forza Italia) esce toglie l’appoggio al governo e la modifica del 138 finisce su un binario morto. È la quarta caduta. La quinta caduta, se sarà, sarà quella di ieri.