Le reazioni saudita e statunitense all’attacco di sabato scorso ai due impianti petroliferi dell’Aramco alla fine sono arrivate. Dopo giorni di accuse a mezza bocca, affidate a non meglio specificate fonti interne, Riyadh e Washington partono alla carica.

Il “la” lo dà la monarchia presentando quella che definisce «la prova inconfutabile» del mittente dei 18 droni e i 7 missili da crociera che hanno centrato la raffineria di Abqaiq e il giacimento di Khurais: l’Iran. Dalla Repubblica islamica sarebbe partito l’attacco invisibile a tutti, alla difesa dei Saud e alle flotte occidentali nel più pattugliato degli specchi d’acqua, il Golfo persico.

«L’attacco è stato lanciato da nord – dice il ministero della Difesa saudita, mostrando in conferenza stampa i resti dei missili incriminati – sicuramente sponsorizzato dall’Iran». Non dunque da sud, dallo Yemen e dai ribelli Houthi, unici (finora) a rivendicare il colpo grosso.

Gioco facile per Mohammed bin Salman, principe ereditario ma di fatto reggente della monarchia, piuttosto silente in questi giorni: impegnato a leccarsi le ferite di una bruciante umiliazione militare ed economica, forse (chissà) pegno da pagare per dimostrare la sua lealtà a Washington, ieri ha rialzato la testa chiedendo al mondo una ferrea presa di posizione anti-iraniana.

Da parte sua Teheran continua a smentire: in una nota diplomatica indirizzata alla Casa bianca – tramite l’ambasciata svizzera nella capitale, suo riferimento diplomatico quando c’è da parlare con gli Stati uniti – la Repubblica islamica «enfatizza che l’Iran non ha giocato alcun ruolo».

Il presidente Rouhani ha ribadito la versione Houthi: «Gli yemeniti non hanno colpito un ospedale, una scuola o un bazar di Sana’a, ma un centro industriale. Per avvertirvi». E, Teheran tiene a precisare, reagirà nel caso di un attacco militare.

Per ora l’attacco del presidente Trump è la solita pioggia di sanzioni, anche se a questo punto, a 16 mesi dall’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare del 2015, c’è rimasto ben poco da sanzionare: dal maggio 2018 la politica statunitense verso l’Iran è uno stillicidio di punizioni economiche, finanziarie e commerciali.

Quali siano le nuove sanzioni non si sa. Al momento a disposizione c’è solo un tweet di Trump in cui dice di aver «ordinato al Dipartimento del Tesoro di incrementare le sanzioni all’Iran».

Da segnalare la presenza a Riyadh del falco che gli Usa hanno per segretario di Stato: Pompeo è in visita a Gedda per discutere con MbS di «come reagire all’aggressione iraniana», spiega una nota del Dipartimento. Al suo arrivo ha detto tutto: «È un atto di guerra».