I «due elementi cardine» del sistema tedesco – che non gli piace, ma accetta per «responsabilità» e «nell’interesse del paese» – per Matteo Renzi sono la soglia di sbarramento al 5% e «il nome scritto sulla scheda elettorale». La soglia è «inamovibile», ripete tre volte il segretario Pd durante la relazione in direzione: il messaggio è sempre per Alfano. Il «nome sulla scheda», declinato al singolare, e invece chiaramente quello dell’uninominale. «L’elemento di riconoscibilità», spiega il segretario, glissando sulle liste bloccate dove i nomi dei candidati saranno da due a sei. Ma quelle liste, vedremo, risulteranno ancora più importanti per l’elezione dei parlamentari.

ERA GIÀ ACCADUTO per l’Italicum. La descrizione della scheda elettorale offerta da Renzi è sempre molto libera e non del tutto sincera. Proprio per questo è essenziale per capire la sua strategia, non solo in questi giorni dell’accordo ma già per la campagna elettorale. Un’altra conferma è nella descrizione che del modello simil tedesco offre il capo mediatore del Pd, il capogruppo alla camera Rosato: «Sbarramento e scelta diretta del candidato». Scelta diretta? Non sarà proprio così. Perché così come nel sistema tedesco il numero dei deputati e senatori eletti da una lista sarà determinato dai voti proporzionali, la seconda parte della scheda che Renzi nel suo racconto nasconde. Tant’è vero che alcuni di quelli che vinceranno la sfida nei 303 collegi uninominali in cui sarà diviso il paese non entreranno comunque in parlamento. Per rispettare il criterio proporzionale. L’alternativa sarebbe stata quella di aumentare i seggi alla camera e al senato, cosa che in Germania si fa ma in Italia senza una modifica costituzionale non si può fare. Così come non si possono avere la sfiducia costruttiva e una sola camera elettiva (diversa da quella proposta con la riforma costituzionale bocciata al referendum), quelli sì «elementi cardine» del modello germanico.

RISCHIANO di non essere neanche troppo pochi i vincitori dell’uninominale che vivranno solo un’illusione di vittoria. Tanto che chi, nel Pd, sta mettendo a punto i dettagli, raccomanda di parlare di «primi arrivati» e non di «vincitori» nei collegi. Perché nel «maxi emendamento» che presenterà oggi in commissione il relatore renziano Fiano (il testo base è il precocemente invecchiato «Rosatellum») sarà molto probabilmente prevista una regola di assegnazione dei seggi che dà la prevalenza ai capilista nella lista bloccata del proporzionale. Successivamente si passa ai vincitori nei collegi uninominali (che saranno in media una decina in ognuna delle 27 circoscrizioni). E poi si torna alla lista proporzionale. Uno strano tedesco in cui in pratica il voto nell’uninominale può servire a poco, dal punto di vista del conteggio. Il che sta facendo felici i proporzionalisti e spiega, tra le altre cose, l’adesione a questo modello di partiti che hanno pochissime chance di vincere anche una sola sfida uninominale (Mdp, Sinistra Italiana).

EPPURE IL VOTO uninominale è quello che Renzi presenta come il cuore della legge elettorale italo-tedesca, «il nome sulla scheda». La spiegazione è semplice: c’è un solo voto, al contrario che nel sistema tedesco. Il voto disgiunto (all’uninominale voto il meno peggio, al proporzionale voto il mio candidato) è impossibile. E dunque raccontare la sfida elettorale come una corsa a due (Pd contro 5 Stelle) o al limite a tre (Berlusconi) sarà la chiave che consentirà a Renzi di impostare tuta la campagna elettorale – a livello nazionale e collegio per collegio – sul voto utile. In concreto i partiti più piccoli, fuori dalla terna dei possibili vincitori nei collegi, dovranno fare una fatica mostruosa per conquistarsi quell’unico voto, sia al candidato che alla lista. Per loro la soglia di sbarramento effettiva sarà assai più alta del 5%. «Con questa legge – ha detto il presidente del Pd Orfini – c’è una correzione implicita alla proporzionalità nel meccanismo dei collegi uninominali». Oltre che nella soglia di sbarramento al 5% che, ha ricordato il deputato Parrini, «nella prima Repubblica non c’era». Nella replica Renzi è stato esplicito: «Chiederò il voto utile, la discussione sulle alleanze non entra in campagna elettorale». E Orlando, a cui non piace il simil tedesco, può concludere che «con questa legge mettiamo un tratto definitivo sul centrosinistra. Dopo le elezioni non ricostruiremo alcun rapporto con chi sta alla sinistra del Pd, la competizione sarà con loro, il bacino elettorale è lo stesso».

MA LA CONTRARIETÀ dei 31 senatori orlandiani a questa legge elettorale, ammesso che diventi effettivamente un voto contrario in aula, non è un rischio enorme per la strategia renziana, che è forte del sì di grillini, berlusconiani e leghisti. Tanto che per il segretario Pd il simil tedesco deve essere approvato definitivamente dal senato «entro la prima settimana di luglio altrimenti non si fa più». In questo modo avrebbe la strada spianata verso le elezioni anticipate. Ormai le date si sprecano (24 settembre, 8 ottobre, 22 ottobre) senza che dal Quirinale voli un solo spiffero. Se non che la riforma della legge elettorale è un conto, il voto anticipato sarà un altro.