Dopo la sbornia da privatizzazioni, il mondo dei servizi pubblici locali ha bisogno di una nuova narrazione, capace di raccontare «il non detto». The untold story, parafrasando il titolo dell’introduzione al libro Reclaiming Public Services, pubblicato dal Transnational Institute di Amsterdam e curato da Satoko Kishimoto e Olivier Petitjean.

Uno studio capace di fotografare 835 casi di rimunicipalizzazione dei servizi essenziali in tutto il mondo, e di verificare come acquedotti ed elettricità siano qualli che vedono più attivi città e cittadini, ma comunque un lavoro e un elenco ancora incompleti, spiega Kishimoto al Gambero Verde: «Giungono di continuo nuove segnalazioni. Dopo la pubblicazione del report, ad esempio, il consiglio comunale di Torino, in Italia, ha votato per la rimunicipalizzazione dell’acqua. Un nuovo caso che aggiungeremo all’elenco del vostro Paese, nella prossima edizione».

La tendenza è, comunque, indicativa: a dispetto della retorica della privatizzazione, come panacea, dal 2000 ad oggi ci sono stati solo nel caso del servizio idrico integrato ben 235 casi di ritorno al pubblico, in 37 Paesi, e hanno riguardato complessivamente città e regioni in cui vivono oltre 100 milioni di abitanti.

Il rapporto, però, mette in guardia da un pubblico inteso solo da un punto di vista formale: quel è il fattore chiave di una vera rimunicipalizzazione?

È ovviamente importante sapere chi detiene le azioni, se è un soggetto pubblico o privato, ma i movimenti cittadini pongono l’accento anche sull’impatto che questa dinamica ha sui servizi. La variabili più importanti sono il prezzo, o l’atteggiamento nei confronti delle famiglie più povere o dei soggetti deboli: che ne è del servizio quando non sono in grado di pagare? Accanto alle variabili sociali, come questa, vi sono quelle economiche ed ambientali: un privato può avere interesse a minimizzare i costi operativi, ad esempio gli investimenti per la protezione ambientale, per massimizzare i profitti e i dividendi agli azionisti. Guardando all’Italia, ad esempio, ci sono delle società che tecnicamente parlando possono essere considerate pubbliche, perché gli azionisti di riferimento sono Comuni, anche se si tratta di società quotata in Borsa. Ecco, io le considero private, perché la logica con cui vengono gestite è quella del maggior margine operativo possibile. Il tema del profitto è essenziale, e per questo condivido l’analisi del Forum italiano dei movimenti per l’acqua.

Dal rapporto emerge un caso francese, dove si sono registrati 106 casi di rimunicipalizzazione del servizio idrico.

È indicativo, sì: la Francia ha conosciuto la più lunga e la più profonda esperienza di gestione affidata ai privati, iniziata oltre un secolo fa. Ed è anche il Paese dove hanno sede le prime multinazionali al mondo, cioè Suez e Veolia. Circa l’80 per cento dei cittadini erano arrivati a dipendere da società private per l’accesso ad acquedotto, fognature, depurazione. È il Paese che più di ogni altro ne sperimentato i problemi, e oggi sta guidando la risposta.

Un secondo esempio in controtendenza, rispetto alla retorica, appare quello degli Stati Uniti, dove tornano pubblici acquedotto e sistemi elettrici.

Gli Usa restano un Paese capitalista, che promuove il libero commercio e le privatizzazioni, ma questo film non può essere girato in bianco e nero: la de-privatizzazione è possibile, perché le città e gli Stati conservano una grande autonomia, ed in molti casi il ritorno al pubblico riguarda città piccole. È una situazione molto diversa, ad esempio, da quella dei Paesi dell’Asia o dell’Africa, dove i servizi sono molto centralizzati, ed è più difficile promuovere un cambiamento. Sappiamo che oltre ai casi già censiti, una settantina, ce ne sono molti altri: stiamo approfondendo.

Se parliamo di Africa, Asia (e America Latina) non possiamo che tornare agli anni Ottanta, e ai Piani di aggiustamente strutturale promossi da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale.

Rispetto all’Europa Occidentale, nei Sud del mondo i servizi sono molto più centralizzati. In questo studio, intenzionalmente, ci siamo focalizzati sui servizi locali, senza includere le rinazionalizzazioni, tranne quelle che hanno alla base la ricerca di benefici sociali ed ambientali per la popolazione, occorse in America Latina. Alcuni esempi positivi, però, arrivano anche dall’Africa: il Camerun nelle ultime settimane ha bloccato le public-private partership (Ppp) nel settore idrico.

E l’Italia? Perché è, secondo voi, la grande assente dal rapporto?

Sappiamo che l’Italia è uno dei Paesi più ricchi in quanto ad impegno civico sull’acqua pubblica: il referendum del 2011 è stato un successo e un simbolo per tutto il movimento per il diritto e l’accesso all’acqua. Sappiamo, però, che nel vostro Paese esiste un contesto legislativo assai complicato.