Il governo a interim dei Talebani mostra i muscoli internamente e attende le reazioni ufficiali della comunità internazionale, già divisa su tempi e modi con cui interloquire con l’esecutivo guidato da mullah Hassan Akhund, uomo della vecchia guardia che ieri si è fatto fotografare in un ufficio ministeriale: vecchio ma pronto a governare.

DUE GIORNI FA c’è stato l’annuncio del nuovo esecutivo, tutto targato taleban, insieme alla dichiarazione del portavoce Zabihullah Mujahid che le proteste, orchestrate dall’esterno, non sarebbero più state ammesse. Ieri, prima la mano pesante su manifestanti e giornalisti. Poi il primo provvedimento ufficiale di Sirajuddin Haqqani, il leader della rete Haqqani nominato ministro dell’Interno: bandite le manifestazioni. Slogan, luogo e orario, obiettivi e modalità vanno prima comunicate al ministero della Giustizia, poi, passato il vaglio, si potrà manifestare. Forse. Ieri a impedirlo è stata la repressione dei Talebani.

Sia a Kabul sia a Fayzabad, capoluogo della provincia settentrionale del Badakhshan, le proteste sono state represse con la violenza. Anche contro donne e ragazze. Botte e cinghiate nella capitale Kabul, dove un corteo è partito da Dasht-e-Barchi, il quartiere sud-occidentale e a maggioranza sciita. Qui la comunità degli hazara ha vissuto negli ultimi anni con crescente preoccupazione gli attentati contro ospedali, autobus pubblici e scuole.

Come quello alla scuola Sayed al-Shuhada, dove l’8 maggio 2021 un triplice attentato ha causato la morte di circa 100 studentesse. Ieri alcune delle studentesse della scuola sarebbero state aggredite perché non vestivano in modo appropriato. Mentre alcuni giornalisti del quotidiano Etilatrooz – il cui direttore Zaky Daryabi ha vinto il premio 2021 di Transparency International – sono stati trattenuti per molte ore dai Talebani: tornati nella loro sede nel quartiere Kart-e-Char hanno mostrato i segni delle frustate, i volti segnati dalle percosse.

STRETTA ANCHE SUI GIORNALISTI stranieri e sui loro colleghi afghani, i cosiddetti «fixer», verso i quali i militanti islamisti hanno usato maniere più dure rispetto ai giorni scorsi. Ammonimenti chiari. I turbanti neri vogliono richiudere in fretta i margini di libertà rivendicati soprattutto da donne e ragazze, nelle grandi città. E ieri il vice capo della commissione culturale dei talebani, Ahmadullah Wasiq ha anche reso noto che per alle donne non sarà consentito fare sport: non è necessario, ha detto. E per di più dovrebbero mostrare il volto e parti del corpo.

LE NOMINE del nuovo esecutivo a interim dimostrano una certa preoccupazione dei Talebani a contenere le spinte centrifughe del movimento, ora che è venuta meno la minaccia esterna in casa, la presenza delle truppe straniere.

Obiettivo, in questa fase di transizione dalla guerriglia al potere, è serrare i ranghi, più che rassicurare la società e la comunità internazionale. Parte della quale riteneva che i turbanti neri avrebbero ammorbidito le loro posizioni, e cercato davvero un governo più inclusivo, pur di ottenere più facilmente il riconoscimento internazionale. Non è andata così, finora. Ieri è stata una giornata di gran lavorio diplomatico.

LE AUTORITÀ DI FATTO del Paese sulla carta chiedono riconoscimento e relazioni amichevoli: «il messaggio ai nostri vicini, alla regione e al mondo è che il suolo dell’Afghanistan non verrà usato contro la sicurezza di nessun altro Paese». Ambasciatori, diplomatici, organizzazioni umanitarie sono benvenute, «la loro presenza è necessaria al nostro Paese». Ma fatevi i fatti vostri. Nessuna intromissione negli affari interni. Questa la posizione ufficiale, simile a quella degli anni Novanta.

La comunità internazionale è divisa e impreparata. In Germania, il segretario di Stato Antony Blinken e il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas hanno coordinato una conferenza virtuale con 22 Paesi, più i rappresentanti di Nato, Ue, Onu.

L’IDEA ERA TROVARE una posizione unitaria, stabilire dei paletti da usare nel dialogo con i Talebani. In gioco ci sono da una parte i soldi di cui ha bisogno l’Emirato, dall’altra, in primo luogo, la libertà di movimento e di espatriare per i tanti rimasti indietro durante il piano di evacuazione da Kabul. Solo dopo arrivano i diritti degli afghani e delle afghane.

Mentre Blinken prometteva fermezza, da Pechino arrivava l’annuncio dei primi 33 milioni di dollari in aiuti per il nuovo governo afghano. Mentre il 16-17 settembre è prevista la conferenza degli 8 Stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione di Shangai. Si terrà a Dushanbe, in Tajikistan, dove ieri il presidente Enomali Rahmon ha condannato il silenzio della comunità internazionale contro il regime dei turbanti neri. Ma altri membri dell’organizzazione, tra cui il Pakistan, l’Uzbekistan e la Cina, sono su tutt’altre posizioni, concilianti, anche se ancora non siamo al riconoscimento formale del regime. Che preoccupa molto l’India, parte dell’organizzazione, e l’Iran, il cui presidente, Ibrahim Raisi, parteciperà come osservatore all’incontro. Ancora prudente per ora Mosca.