Nicola Zingaretti ha capito molte cose. Lo dimostra nelle righe e tra le righe dell’articolo pubblicato da il manifesto (10 febbraio). Per questo ha un ruolo che può essere importante per il futuro della democrazia non soltanto italiana, nel momento in cui la destra chiama a raccolta tutte le sue componenti, con una retorica che specula sulla paura dei penultimi, in continua crescita, e rassicura coloro che pensano soltanto a come accrescere i loro profitti, a qualunque costo umano. Da Casa Pound agli ispiratori delle madamine torinesi.

Perché, allora, non siamo tutti con lui, pronti a votarlo, a cominciare dalle primarie, aperte a non iscritti, che potrebbero incoronarlo segretario del Pd? Perché una marea di non votanti, elettori grillini in crisi, sinistre sempre più frammentate, ambientalisti, in Europa sulla cresta dell’onda ma nemmeno rappresentati in Italia, milioni di persone oneste e solidali, spesso impegnate nel volontariato, o indipendenti, tenacemente di sinistra, non certo avventate, quali – azzardo degli esempi, non avendole all’uopo interpellate – Rosy Bindi, Tana de Zulueta, Luciana Castellina non sciolgono le riserve? Sarà una coincidenza che mi sono venute in mente tre donne?

Per quanto mi riguarda, le ragioni sono due. La prima: ad oggi Zingaretti si comporta secondo i canoni della politica, quella con la P maiuscola, secondo cui prima bisogna fare unità all’interno del proprio partito, per poi partire alla conquista degli “altri”, in questa occasione alla vigilia delle elezioni europee.

Prima assicurarsi dell’appoggio dei vari Franceschini, Fassino, Minniti (pur anticipatore di Salvini nella costruzione di campi di tortura libici e sbarramenti nel Niger), liberisti europei persino ostentati quali Calenda e molti altri, con qualche strizzata d’occhio al principale rivale, Martina. Soltanto dopo si affronta una marea di persone, alla ricerca di un approdo, che, alle diplomazie interne ad un Pd – che hanno aperto la strada alla destra, inseguendola nelle sue tane – è tendenzialmente ostile, quantomeno indifferente. In questa fase occorre fare il contrario, semmai ricuperando disponibilità interne al Pd con la capacità dimostrata di sfondare il muro che oggi lo circonda. Tu stesso, Nicola, lo intuisci quando chiudi il tuo scritto affermando che «…non considero neppure il nome come un tabù».

Tuttavia, alle parole deve corrispondere una sostanza, valoriale e programmatica. In poche parole, sempre ripetute, per intenderci, alla Sanders e alla Corbyn.

Qui potremmo intenderci facilmente, in un ipotetico colloquio con Nicola, ma si tratta di parole che vanno gridate ovunque, ora, e non dopo opportune mediazioni in sede di congresso Pd. Mi permetto qualche esempio.

Siamo “Per un’altra Europa. Dei tanti e non per i pochi”, prendendo in prestito la parola d’ordine dei giovani laboristi britannici. Non possiamo confonderci con un’Europa neoliberista, dei Juncker e dei Timmermans, severa soltanto con i deboli (che si tratti della Grecia o dei migranti non accolti) che ha segnato l’Ue in questi anni, in cui interessi globalizzati hanno esautorato o asservito le istituzioni democratiche ovunque. Sentiamo, invece, il bisogno di un’Europa pacifica, equa e solidale, politicamente unita, in grado di dare voce globale a mezzo miliardo di persone altrimenti alla mercè di Stati Uniti, Russia e Cina, con tutto ciò che questi stati oggi rappresentano.

Il deterioramento ambientale e la rivoluzione informatica in corso richiedono una nuova economia sostenibile, selettivamente finanziata con interventi pubblici e sostegno alla ricerca, riduzione dell’orario di lavoro e programmata apertura ad una migrazione sicura, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, tassazione fortemente progressiva con una lotta all’elusione e l’evasione fiscale e sprechi parassitari del denaro pubblico. Non basta un generico sostegno al lavoro, con incentivi indiscriminati alle imprese. Occorre una netta separazione tra banche commerciali e finanza speculativa.

Una libertà, intesa come consapevole sostegno alla crescita della dignità, dei diritti, della cultura di ognuno, quale che sia la sua provenienza, sesso, convinzione, con una particolare attenzione alla salvaguardia di una generazione di giovani, oggi privata di futuro. Ciò comporta il rifiuto dell’assuefazione alle sofferenze che noi riscontriamo nelle nostre strade e nelle immagini del nostro mare.

Insomma, provaci ancora Nicola, ma siamo quasi fuori tempo massimo.