Da una parte: «È una piazza senza polemiche che ricorda la Resistenza, si muove per la pace e per l’applicazione della Costituzione». Dall’altra: «Non siamo noi ad aver causato queste celebrazioni separate. In questa città non c’è stata la volontà di ascolto».  Da una parte dal palco il presidente dell’Anpi di Roma Fabrizio De Santis  chiama l’applauso per la Brigata Ebraica. Di là la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello: «Non si tratta di dividere ma di riconoscere ciò che è stato. La memoria è una e una sola, e a quella dobbiamo rifarci»..

È un festeggiamento amaro quello della Liberazione di Roma. Diviso in due, cuore inutilmente spezzato. Il casus belli sono le bandiere palestinesi da sempre ospiti nella manifestazione dell’Anpi – e ieri ben visibili – in base a uno statuto che solidarizza con i popoli in lotta per la liberazione. E i fischi che, passati gli anni del sogno della pace in Medioriente, da tempo infelicitano il passaggio della Brigata Ebraica al corteo. Fischi, a onor di cronaca, non rivolti alla Stella di David della bandiera di chi ha combattuto la guerra al nazifascismo, ma alle occupazioni favorite dal governo di Israele. Una contestazione che però per i rappresentanti della comunità ebraica è diventata di anno in anno – di anno in anno dall’inizio del governo di Benjamin Netanyahu, sarebbe più preciso dire – sempre più intollerabile. La replica del vicepresidente della Comunità Ruben Della Rocca è il ricordo del Gran Muftì, autorità religiosa di Gerusalemme che sotto il nazismo si alleò con Hitler: «La storia è qui, il resto sono menzogne». E’ un botta e risposta a distanza. La staffetta Tina Costa: «Partigiano è chi combatte per la pace». Il rabbino Di Segni: «Il terrorismo che devasta l’Europa ha avuto una scuola importante, sappiamo qual è. Alludo ai palestinesi, non è chiaro?».

Il cuore della rottura è in questo groviglio di storia passata e in corso. Se a Milano l’Anpi ha saputo trattenere la Brigata ebraica nelle file di un corteo unitario, a Roma l’operazione non è riuscita. Troppo grandi le distanze politiche. Ma il colpo di grazia l’ha dato il Pd cittadino, raro caso di partito commissariato e balcanizzato: se i dem milanesi hanno annunciato di sfilare sotto le insegne della Brigata, quelli romani hanno non hanno neanche tentato di ricucire lo strappo, ritirando l’adesione al corteo dell’Anpi e presentandosi in ordine sparso alla sinagoga di via Balbo. Quello dell’Anpi «è un corteo divisivo», ha spiegato l’ex commissario Matteo Orfini.

Così i cittadini che hanno seguito l’appello dell’associazione dei partigiani – quest’anno più del solito, migliaia – si sono dati appuntamento a piazza dei Caduti della Montagnola, 53 ammazzati dalle truppe tedesche il 10 settembre del 43, per arrivare come sempre a Porta San Paolo, per ascoltare un palco zeppo di indomabili partigiani, ex combattenti, reduci, staffette.

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Quelli che invece hanno risposto alla chiamata della Comunità si sono visti al quartiere Monti, all’Oratorio di Castro, la seconda sinagoga della città. Alcune centinaia. Sul palco, oltre alla presidente Dureghello e al suo vice, parla qualche politico: Casini, Cicchitto, Brunetta. C’è anche la sottosegretaria Maria Elena Boschi. È lei che all’epoca del referendum aveva distinto l’Anpi dai «veri partigiani». Poi l’allora premier Renzi aveva aggiustato il tiro. Ma la formula si sente riecheggiare anche qui. L’ex ministra cerca di levarsi qualche sasso dalla scarpa contro l’Anpi, formidabile – e vincente – avversaria al referendum costituzionale. Ma poi ricapitola la posizione dell’Italia sul conflitto israelo-palestinese: «Due popoli, due stati. In un’epoca in cui molti paesi negano ad Israele il diritto di esistere, noi diciamo che non solo ha il diritto di esistere ma il dovere». Un discorso che non stonerebbe anche nell’altro palco.

Le istituzioni fanno la spola da una manifestazione all’altra. A nome della Regione, il vicepresidente Massimiliano Smeriglio sfila con l’Anpi e poi sul palco della Brigata ricorda le parole del rabbino Elio Toaff. Movimento inverso per la sindaca Virginia Raggi, impegnata a far dimenticare la sua recente assenza alla commemorazione delle Fosse ardeatine: alla sinagoga cita il profeta Isaia, dopo, sul palco dell’Anpi Pietro Calamandrei – e prende qualche fischio di incoraggiamento a fare meglio.

Che è poi la promessa di tutti: dagli opposti palchi si giura che «questo è l’ultimo festeggiamento separato», e si chiude qui e lì con «Bella ciao».