L’economia della Repubblica islamica rischia davvero di essere messa in ginocchio. E questa volta non per colpa delle sanzioni americane, ma per l’invasione delle cavallette: uno scenario che ricorda una delle dieci piaghe contro il popolo d’Egitto nel Libro dell’Esodo. Piaghe che erano la punizione divina volta a convincere il faraone a lasciar andare gli ebrei sotto la guida di Mosè. Un episodio biblico che i musulmani ben conoscono, essendo riportato anche nel Corano tra i nove segni dati da Dio a Mosè, pure in questo caso per suffragarlo nella sua missione presso il faraone: «Mandammo contro di loro l’inondazione e le cavallette, le pulci, le rane e il sangue, segni ben chiari. Ma furono orgogliosi e rimasero un popolo di perversi» (sura VII, 133).

UNO SCENARIO APOCALITTICO di cui cercheranno di approfittare l’ex presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad e gli altri millenaristi che attendono la fine del mondo e, con esso, il ritorno del Mahdi sulla terra.

In Iran l’invasione delle cavallette sopraggiunge mentre il paese è già in crisi dopo l’alluvione che ha colpito tre quarti delle province iraniane, mettendo in difficoltà dieci milioni di persone di cui due milioni in modo grave. Gli sfollati sono mezzo milione, la metà minori. Secondo l’Unicef, centomila bambini non potranno tornare in classe perché oltre mille scuole sono state danneggiate o persino distrutte dall’acqua.

DOPO L’ALLUVIONE, ora l’Iran deve affrontare l’emergenza delle cavallette. Arrivano dalla penisola araba, si muovono a 1700 metri di altezza seguendo i venti freschi e umidi, percorrono fino a 400 chilometri al giorno. Si stanno riversando sull’altopiano iranico in gruppi da 50 milioni, ed è inevitabile che distruggeranno i raccolti, in primis di pistacchi e barbabietole. Le prime regioni ad essere colpite sono quelle meridionali: il Khuzestan, l’area di Bushehr, il Fars, la regione di Hormozgan, quella di Kerman e il Sistan Balucistan a sud-est.

SECONDO LE AUTORITÀ iraniane, dietro all’invasione ci sarebbe lo zampino dell’Arabia Saudita: il regime di Ryadh è accusato di non aver fatto nulla per fermare le cavallette che divorano ogni cosa.

Ma quello che sta succedendo in Iran potrebbe essere anche colpa degli Emirati perché da gennaio il Centro nazionale di meteorologia ha messo in atto una novantina di missioni di semina delle nuvole con fiocchi di sale, con un metodo che nella confederazione viene portata avanti fin dall’inizio degli anni Novanta con l’obiettivo di aumentare la pioggia che altrimenti sarebbe solo di cento millimetri l’anno. In alternativa, ci sarebbe il processo di desalinizzazione ma – secondo gli esperti – costa di più e ha un maggiore impatto ambientale in termini di inquinamento.

Secondo la stampa degli Emirati, negli ultimi mesi l’aviazione avrebbe effettuato fino a cinque missioni al giorno di semina delle nuvole, con il risultato che ha piovuto tantissimo per un mese di fila, ci sono stati allagamenti e ha persino grandinato in alcune località come Ras Al Khaimah, Umm Al Quwaim e Fujairah.

I MEDIA LOCALI hanno allertato la popolazione, invitando a diminuire la velocità sulle strade e ad accendere gli anabbaglianti anche durante il giorno per essere più visibili agli altri conducenti, consigliando ai motociclisti di fare attenzione agli avvallamenti dove si accumula l’acqua. A causa del maltempo e delle pessime condizioni delle strade, anche qui molte scuole sono state chiuse. Gli abitanti degli Emirati si sono ovviamente scatenati sui social, postando foto di mucchietti di ghiaccio sulle spiagge del Golfo persico. E qualcuno ha pure fatto un pupazzo di ghiaccio a metà aprile.

IN QUESTI ULTIMI MESI l’effetto della semina delle nuvole con i fiocchi di sale si è sentito anche in Iran dove, già lo sapete, ci sono state vere e proprie alluvioni. Colpa dei corridoi, che hanno trasportato le nuvole cariche d’acqua verso l’altopiano iranico. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. E a rileggere la Storia viene da pensare che le tecniche di semina delle nuvole possano essere usate come un’arma.

Era già successo durante la guerra del Vietnam: a partire dal 1967 l’obiettivo del progetto statunitense Popeye era prolungare la stagione dei monsoni per bloccare le vie di approvvigionamento dei nemici lungo la strada che portava a quella che allora si chiamava Saigon.

CERTO, NEL 1977 l’assemblea generale dell’Onu aveva ratificato una convenzione internazionale per vietare «l’impiego militare e qualsiasi altra forma di utilizzo ostile delle tecniche di modifica ambientale aventi effetti ampi e duraturi». Ma il rispetto delle convenzioni internazionali non è né la priorità del presidente statunitense Donald Trump né dei suoi alleati in Medio Oriente.