Alla fine dell’anno scadrà la sospensione delle autorizzazioni del governo alla RWM Italia SpA per l’esportazione di bombe prodotte nello stabilimento sardo all’Arabia saudita per la guerra in Yemen. Sarà un ritorno al business as usual, magari giustificato dalla necessità di superare la crisi indotta dalla pandemia?

Oppure il governo ribadirà i motivi del divieto della vendita di armi verso un paese coinvolto in una guerra senza fine, senza alcuna legittimazione internazionale e considerata una delle maggiori tragedie umanitarie di questi anni?

Intanto Fondazione Finanza Etica, insieme a Rete Italiana Disarmo, torna a promuovere l’azionariato critico verso la società proprietaria di RWM, la tedesca Rheinmetall per chiedere di cessare la vendita di armi a paesi in guerra e responsabili di gravi violazioni dei diritti umani come l’Arabia saudita.

Ma quest’anno non ci limitiamo ad “andare” (virtualmente, l’assemblea degli azionisti si tiene in remoto) a Berlino come facciamo dal 2017, ma ci spostiamo più a nord, a Oslo. Dove ha sede un importante azionista di Rheinmetall, il Pension Fund Global, il fondo pensioni del governo norvegese, il più grande fondo sovrano pensioni del mondo, con i suoi mille miliardi di dollari di capitale, compreso l’1,4% di tutte le azioni e titoli del mondo. Il fondo norvegese detiene il 2,57% delle azioni della Rheinmetall, pari a 128,5 milioni di dollari.

Il fondo pensioni di Oslo, nato nel 1990 per investire i redditi generati dal settore petrolifero del paese scandinavo, ha una politica abbastanza rigorosa per quanto riguarda l’investimento dei soldi destinati alle pensioni dei norvegesi e attraverso il proprio Comitato Etico valuta e sanziona impieghi in contraddizione con i principi etici stabiliti dal governo.

Tanto che, nel corso degli anni, il fondo ha disinvestito da 17 società del tabacco (per un valore di circa due miliardi di dollari), da 53 società del carbone (fra cui 16 americane e tre cinesi) riducendo le quote detenute nel settore del 5%. E nel marzo 2019 il ministero delle Finanze norvegese ha raccomandato un’operazione di disinvestimento dal settore dell’esplorazione e produzione di petrolio e gas.

Per questo abbiamo scritto al Comitato Etico del fondo norvegese, per proporre di uscire dalla tedesca Rheinmetall, in virtù di una specifica clausola contenuta nella sezione 2.1 del codice etico del Fondo che fa divieto di «investire in società che, direttamente o attraverso proprie controllate, producono armi che con il loro utilizzo violano i fondamentali diritti umani».

Ci pare indubbiamente questo il caso delle armi vendute dalla controllata RWM per la guerra in Yemen. Chiediamo, dunque, al Fondo Pensioni norvegese di procedere al disinvestimento da Rheinmetall e di sostenere il nostro ingaggio verso la società per fermare l’esportazione di armi che contribuisce alla violazione dei diritti umani in Yemen.

D’altra parte il Fondo ha già operato in tal senso nei confronti di diverse società del settore difesa, come le americane Alliant Techsystems Inc. la Lockheed Martin Corp, la Raytheon Company, la Textron; la cinese Dongfeng Motor Group per la vendita di armi al Myanmar; le sudcoreane Hanwha Corp e Poongsan Corp; la francese Thales Spa e l’italiana Leonardo Finmeccanica nel 2005 per la produzione di sistemi d’arma a capacità nucleare attraverso la società MBDA (esclusione poi revocata nel 2012).

Il rischio reputazionale di coinvolgimento nella tragedia umanitaria dello Yemen potrebbe essere troppo alto per il Fondo Pensioni norvegese, o almeno non da valere il 2,57% delle azioni che potrebbero ben altrimenti e in modo più remunerativo essere investite. Giacché gli azionisti critici uniscono valutazioni di tipo etico ad altre di tipo finanziario.

Rheinmetall è, in tal senso, troppo esposta a conflitti legali sollevati dalle autorità nazionali per questa loro attività di vendita di armi a paesi come l’Arabia saudita. Un caso che potrebbe non piacere al governo e ai pensionati della Norvegia.

*Direttore Fondazione Finanza Etica