Il Monte Morrone è legato alla memoria di Pietro da Morrone, meglio noto come Celestino V: il pontefice «che fece per viltade il gran rifiuto», per dirla con Dante (sebbene l’interpretazione del passo dantesco sia stata e sia ancora oggi controversa). Il futuro papa non era però originario di quella zona; era infatti nato tra il 1209 e il 1210 in Molise, sebbene non si sappia esattamente in quale luogo, all’epoca parte del Regno di Sicilia.

ERA IL PENULTIMO di dodici figli di una famiglia contadina, con la madre rimasta precocemente vedova. Scelse quindi la carriera ecclesiastica ed entrò prima di compiere vent’anni nel monastero benedettino di S. Maria di Faifula, presso Montagano. Tuttavia optò presto per la vita da eremita, prima sul monte Porrara, vetta meridionale della Maiella, poi fra 1235 e 1240 sul monte Morrone, dove abitò due semplici grotte. Sopra una di queste è stato edificato l’Eremo di Sant’Onofrio al Morrone, che ospita una chiesa e un oratorio affrescato; fra le immagini vi è anche un precoce ritratto di Pietro con la tiara, successivo dunque all’elezione a pontefice.
Tuttavia, dagli anni Quaranta, Pietro si era trasferito sulla Maiella. Le pratiche ascetiche gli avevano guadagnato un seguito anche fra i laici, che si recavano in pellegrinaggio presso di lui, convinti della sua santità. Fu dunque la volontà di proseguire nella scelta ascetica a spingerlo a trasferirsi in un luogo più difficilmente accessibile, e dove fondò un altro eremo, S. Spirito a Maiella. Diede quindi vita a una Congregazione, più tardi detta «dei Celestini», interna all’Ordine benedettino (era proibito fondare nuovi Ordini religiosi), ma più intensamente rigorista.

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LA VICENDA di Pietro da Morrone che tutti conosciamo è certamente quella dell’elezione al pontificato. Quale il contesto della sua elezione, dunque? Dopo il trionfo di Carlo I d’Angiò nel regno di Napoli contro gli eredi di Federico II, i rapporti fra Chiesa e potenza angioina si erano fatti difficili. In linea teorica, gli Angiò erano, in quanto re di Napoli, vassalli della Santa Sede; tuttavia Carlo I si era assunto anche il compito politico di difensore dell’autorità pontificia contro il «pericolo» ghibellino, e la sua protezione si era gradualmente mutata in ricatto man mano che nel corso degli anni Settanta del secolo – mentre l’impero era preda di un lungo interregno – si andava chiarendo a tutti che tale pericolo, tutto sommato, non esisteva più e che il re di Napoli si serviva della sua influenza sul papato per portare avanti i suoi disegni politici.

L’ALTERNARSI SUL SOGLIO pontificio, tra 1266 e 1294, di papi «filoangioini» e papi «antiangioini», mostrò con chiarezza quanto profondo fosse, nella gerarchia ecclesiastica, il disorientamento dovuto a questo progressivo assoggettamento del papato alla politica franco-angioina. Papa Niccolò IV era morto nel 1292, e da due anni il conclave non riusciva a esprimere un suo successore: il collegio cardinalizio era difatti lacerato tra due fautori della monarchia angioina e avversari di essa, e nessuna delle due fazioni intendeva cedere all’altra.

ALLORA IL COLLEGIO scelse un outsider: Pietro da Morrone. L’esperimento si rivelò a ogni modo fallimentare. Il nuovo papa non aveva alcuna competenza né teologica, né politica, né giuridica: in un primo tempo si lasciò irretire dai cardinali fedeli a Carlo II d’Angiò, che cercava di sfruttare il suo nome (in quanto Celestino era per nascita suo suddito) per i propri disegni; quindi fu costretto dai prelati dell’opposta fazione ad abbandonare la tiara. Fu allora (dicembre 1294) che al soglio pontificio poté ascendere il cardinale Benedetto Caetani, che assunse il nome di Bonifacio VIII.
Ma perché tanto interesse verso la figura di un eremita, al punto da sceglierlo come pontefice? In quel momento la Chiesa era oggetto al suo stesso interno di forti contrasti: specie a causa dei rigoristi dell’ordine francescano, i cosiddetti «spirituali», che rimproveravano all’alto clero la ricchezza, la mondanità, il desiderio di potere terreno, e chiedevano un ritorno all’originaria purezza.

QUESTE PROTESTE avevano man mano assunto carattere apocalittico: si spiavano nel cielo e negli umani eventi i segni del prossimo avvento dell’Anticristo, che avrebbe inflitto alla Cristianità una dura persecuzione, l’ultima prima del ritorno del Cristo secondo la profezia contenuta nell’Apocalisse di Giovanni; e si attendeva anche un «papa angelico», che avrebbe purificato la Chiesa da ogni peccato e l’avrebbe ricondotta alla purezza apostolica. Pietro da Morrone, il quale aveva profetizzato che gravi sciagure si sarebbero abbattute sulla Chiesa se la crisi non si fosse risolta, sembrava dunque il candidato adatto e come tale fu salutato dal poeta Iacopone da Todi, uno dei leader degli «spirituali».
Tuttavia, al di là del momento storico, nella storia della Chiesa la tensione fra spinte mondane e ascetismo è stata ricorrente; la «tentazione» eremitica, il ritorno a un modello monastico delle origini, era sempre presente, soprattutto in tempi di crisi. Evidentemente, però, come dimostra la vicenda di Pietro/Celestino, la politica non risparmiava neppure gli eremi del Monte Morrone o della Maiella; e il monaco che si era voluto fare asceta fu costretto, quasi suo malgrado, a tornare nel mondo.