Un festival ispirato a Frank Zappa. Con sguardi verso certe sue passioni, tipo Edgar Varèse e il brano Ionisation. Niente male, sulla carta, per un festival jazz. Che è poi Ai confini tra Sardegna e jazz a Sant’Anna Arresi dall’1 al 10 settembre per la trentunesima edizione. Festival eccentrico, festival iconoclasta, festival indefinibile quanto a uno stile: rock (post-rock, art-rock, neoprogressive), jazz free, avanguardia? Probabilmente sì. Altrimenti Zappa non c’avrebbe più niente a che fare. Nel programma si possono individuare due gruppi di musicisti: quelli effettivamente zappiani, magari alla lontana, e quelli che zappiani non sono (ma ci stanno bene nelle serate in Piazza del Nuraghe), a meno di considerare Zappa con la sua genialità e la sua poliedricità un riferimento per qualsiasi tipo di musica d’oggi piuttosto sperimentale.
Vediamo il gruppo degli zappiani, ovviamente indiretti perché di ripetitori non dovremmo incontrarne. Il batterista americano di origini irlandesi Sean Noonan è in scena l’1 settembre in trio (tastiere, basso, batteria) e il 2 con un nonetto comprendente un quartetto d’archi. Dedito a una certa teatralità, anche un po’ «triviale», ha una parentela particolare con Zappa. Musicalmente ha di non zappiano il richiamo a varie culture etniche. Poi usa moduli ritmici di origine rock, li mantiene più di quanto li spezzi. Nella seconda serata presenta il progetto Zappanation con cui promette di «ionizzare» Zappa e Varèse, e lì dovrebbe risentire di echi minimalisti. La Bovine Music del Coro di Bitti (2) è il semplice omaggio alla definizione («musica bovina», molto amata) che Zappa coniò della musica tradizionale sarda dei tenores.

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Con il lato «varèsiano» di Zappa si intrattiene un po’ la tedesca Andromeda Mega Express Orchestra (3) diretta dal tenorsassofonista Daniel Glatzel. Ma ci mette anche minimalismo e il fantasma sonoro di Duke Ellington. Definire zappiani gli immensi Rubatong (Luc Ex, chitarra basso, Han Buhrs, voce, elettronica, René van Barneveld, chitarra, Tatiana Koleva, percussioni, vibrafono) è legittimo e illegittimo nello stesso tempo, anche se la loro esibizione il 4 è intitolata Zappa’s Umbrella. Girano estatici e sospesi intorno al blues, con i testi il canto e le movenze di Buhrs evocano Captain Beefheart e Samuel Beckett, con le sequenze «contemporanee colte» di Koleva rimettono in gioco il nume tutelare Varèse.

Più che zappiano Daniele Sepe, che chiude il festival il 10, si potrebbe considerare un funky-neapolitan-anarco-leniniano. Ma certe sue cose tra il progressive e il free con aggiunta di animazioni vesuviane lo imparentano con il leader delle Mothers of Invention e autore di The Yellow Shark. Qui finiscono gli zappiani doc e non doc del cartellone. Che promette la sera del 6 magnificenze di sperimentazione riflessiva assai «dotta» e per niente arcigna con il Serenus Zeitblom Oktett insieme alla sassofonista Ingrid Laubrock, già ammirati all’edizione 2015 del festival berlinese A L’Arme! La stessa sera un trio jazz di punta, storico e instabile: Peter Brötzmann (sax), William Parker (contrabbasso), Hamid Drake (percussioni), tre giganti, tre maestri, il parossismo di B., la profondità black di P., il ritmo cosmico di D. Parker e Drake li ritroviamo (8) per la rivisitazione e, si spera, reinvenzione di un lavoro importante parkeriano intitolato In Order to Survive. Con loro suonano Mixashawn Lee Rubin (sax, percussioni), Rob Brown (sax), Cooper Moore (pianoforte), Steve Swell (trombone). Cooper Moore, gran pianista avant e dada, a suo tempo rinnegatore del suo strumento principe e fabbricatore di vari strumentini elettrificati semi-casalinghi, regala un solo pianistico la sera del 9 e la curiosità è tanta. Un altro solo di piano, quello di un principe della tastiera, free e monumentale, una vecchia conoscenza di Sant’Anna Arresi, parliamo di Matthew Shipp, lo ascoltiamo il 3 e l’argomento del concerto è un tributo al leader di un quartetto con cui Shipp ha lungamente lavorato, vale a dire lo scomparso David S. Ware.

Altra presenza quasi fissa a Sant’Anna è Rob Mazurek. Il compositore e cornettista di Chicago è questa volta ospite del gruppo guidato dal pianista Greg Burk. La saga dei pianisti monstre è completata dall’esibizione il 5 dei coniugi Alexander von Schlippenbach e Aki Takase, lui un big della severa free improvisation europea, lei una pluristilista amabilissima.

Ma stavolta suonano col figlio, il dj Illvibe. Che famiglia! Mats Gustaffson col suo sax baritono suona due volte, il 9 e il 10, prima con una larga orchestra denominata Hidros Zap (free+rock+nu) che annovera il trombettista Nate Wooley e il sassofonista Ken Vandermark. Ritrova Vandermark la sera dopo in un summit che li unisce a Luc Ex e ad Hamid Drake.
Wooley è in scena anche l’8 e come leader di un quartetto di vera avanguardia jazzistica. Registri alterati degli strumenti, silenzi. Il tutto con partner come Ingrid Laubrock, Matt Moran (vibrafono) e quella Sylvie Courvoisier, pianista, che ritroviamo finalmente in ambito avant. I sette norvegesi del Megalodon Collective (7) sono una sorpresa per tutti o quasi, la loro particolarità è l’organico: 3 sax, 2 batterie, basso e chitarra. La chicagoana Tomeka Reid, violoncellista, è in concerto l’1 a capo di un quartetto. Ha nelle sue corde sia gli assoli «informali» sia le melodie e gli arrangiamenti soft-lirici. Un piacere comunque.