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Jim Al-Khalili

Il pettirosso migra per migliaia di chilometri orientandosi grazie al debolissimo campo magnetico terrestre, quello che fa ruotare l’ago della bussola. Anche il pettirosso ne usa una, ma la sua è molto particolare. Infatti, al posto di un ago ha il crittocromo, una proteina sensibile a un effetto quantistico, il cosiddetto entanglement di due elettroni. A scoprirlo nel 2000 non è stato un biologo, ma un fisico, Klaus Schulten. Anche la fotosintesi si basa su un fenomeno quantistico, l’effetto «tunnel». E forse anche la coscienza. Secondo alcuni scienziati (tra cui il fisico Roger Penrose) la differenza tra un computer e il cervello risiede proprio nella capacità di quest’ultimo di sfruttare la casualità del comportamento della materia alle scale più piccole.
Sono solo alcuni degli esempi citati da Jim Al-Khalili e Johnjoe McFadden in La fisica della vita, appena tradotto da Laura Servidei per le edizioni Bollati Boringhieri. È un affascinante viaggio nei meccanismi alla base della vita, in gran parte ancora oscuri. Ma sempre più scienziati ritengono che per comprenderli sia necessario applicare alla biologia le leggi della meccanica quantistica, la teoria con cui, da Heisenberg in poi, i fisici indagano i fenomeni microscopici che coinvolgono particelle e onde elettromagnetiche.

I costituenti elementari della materia si comportano in modo contro-intuitivo. A causa dell’effetto tunnel, ad esempio, le particelle possono attraversare barriere energetiche. Come può testimoniare chiunque abbia lanciato una palla contro il muro, ai macroscopici oggetti quotidiani ciò non è permesso. Il citato entanglement, invece, è la correlazione istantanea tra particelle anche molto lontane tra loro.

Secondo Einstein, l’entanglement dimostrava che la teoria quantistica è incompleta e che «Dio non gioca a dadi» – aveva torto.
Gli effetti quantistici, tuttavia, si possono osservare solo in situazioni particolari: quando le particelle sono isolate o a basse temperature. Le cellule, invece, brulicano di attività e sono piuttosto calde (300° sopra lo zero assoluto). In queste condizioni, la «decoerenza quantistica», un altro effetto scoperto recentemente, in brevissimo tempo rimescola onde e particelle. Essa produce i comportamenti piuttosto banali che osserviamo – la palla che rimbalza contro il muro – e determina la tendenza della materia a aumentare il suo disordine: le cose si rompono spontaneamente, ma non si aggiustano da sole. Dunque, sostengono Al-Khalili, McFadden e gli specialisti di «biologia quantistica», l’evoluzione naturale ha favorito lo sviluppo di molecole e tessuti in grado di contrastare la decoerenza.

L’osservazione non è nuova. Come spiegano nel capitolo introduttivo Al-Khalili e McFadden, essa fu proposta per la prima volta all’inizio degli anni ’40 da Erwin Schroedinger, un altro padre fondatore della meccanica quantistica. Sue conferenze su questo tema sono riunite in Cos’è la vita, un libretto tuttora assai interessante e ristampato numerosissime volte dall’editore Adelphi nell’originale traduzione di Mario Ageno. Anche dagli esempi de La fisica della vita emerge un legame inestricabile tra fisica e biologia, ma su un’ipotesi originale.

Infatti, secondo il pensiero dominante fino agli anni ’70, le leggi della biologia si potevano dedurre da quelle della fisica, in quanto anche la materia vivente è costituita da atomi e molecole. La biologia molecolare aveva da poco scoperto la doppia elica del Dna e ci si illudeva che le proprietà di organismi complessi derivassero dalle combinazioni di poche molecole. Poi, sia la fisica che la biologia scoprirono la complessità: un organismo, infatti, non si può ridurre alla somma dei suoi costituenti isolati. Le leggi della biologia e quelle della fisica acquistarono dunque pari dignità e mutua autonomia. Si cambia di nuovo, sembrano ora dirci Al-Khalili e McFadden. L’evoluzione e gli atomi funzionano secondo leggi proprie, ma strettamente legate tra loro. Forse Dio non gioca a dadi, ma mischiare le carte deve piacergli un sacco.