Davvero una sorpresa il titolo di ieri del quotidiano la Repubblica: italiani pronti a partire. Così diretto e prossimo che abbiamo pensato avesse aperto un’agenzia viaggi. No, vista l’assonanza con «armiamoci e partite», si tratta ancora una volta della sponsorizzazione di una avventura «militare» italiana, ma «sotto egida Onu», forse, come «caschi blu europei» – che non esistono. Comunque la Repubblica, diavolo d’un giornale, è già in marcia: un due, tre, passo…. Ma come, dove, quando e soprattutto perché non è chiaro. Così stavolta appare più avveduto perfino il presidente Conte, il tanto canzonato “Giuseppi” che precisa, sotto pressione di animosi sponsor: «Disponibili a contribuire alla pacificazione, ma non manderemo uno solo dei nostri ragazzi se non in un contesto di sicurezza e con un mandato chiaro».

Insomma, cerchiamo di capire. Soprattutto chiediamoci perché a decidere le sorti della Libia siano arrivati Putin ed Erdogan e non sia invece l’Italia che sta sullo strapuntino e che pure ha il più grosso contingente militare sul campo – di più dei miliziani turcomanni e dei contractors Wagner; interroghiamoci perché l’Onu stessa sia in difficoltà, avendo finora riconosciuto solo il governo di Serraj; interroghiamoci sulla volontà di fare «come l’Unifil in Libano» magari per scoprire che lì c’è una missione dal 1978 – quando l’Italia aveva una diplomazia nel Mediterraneo, rinnovata nel 2006 – che è di interposizione tra due Paesi, Libano e Israele. Non c’è forse il rischio che, fare come l’Unifil voglia dire riconoscere la spartizione? Ed è mai possibile che Putin ed Erdogan abbiano lavorato per dare il premio di una «pace» spartitoria agli italiani che, con i francesi (e la Nato) hanno ridotto in pezzi la Libia nel 2011, per non dire del nostro passato coloniale e fascista?

E perché stiamo ancora zitti sul dramma dei lager per migranti? Ma davvero gli italiani sono pronti a partire?