La profondità delle storie lievi, quelle che ama raccontare Cristina Donà nei suoi dischi. E ne sono passati sei (di inediti) dal debutto folgorante di Tregua, diciasette anni fa, prodotto da Manuel Agnelli con il quale ha mantenuto nel tempo un rapporto professionale e di amicizia. Non è un caso che nella recente rivisitazione del loro storico Hai paura del buio? la cantante milanese abbia partecipato come «guest» nel brano Televisione. Così vicini, il nuovo lavoro interamente autoprodotto, scritto a quattro mani con Saverio Lanza mantiene un tratto fresco e intrigante e al contempo raffinato e moderno grazie agli arrangiamenti che mettono in risalto la voce – bellissima, dell’interprete. Si percepisce la volontà di raccontare una quotidianità a volte anche dolorosa e difficile, e un passato legato agli anni ’70, come nel pezzo che intitola la raccolta.
«Quel brano l’aveva scritto Saverio e da parecchio tempo era chiuso nel cassetto. Di solito lavoriamo con un sistema abbastanza consolidato: io gli mando degli spunti che poi elaboriamo insieme. In questa traccia c’è una frase ’la mente mia ritorna’ che in realtà non appartiene al mio modo di scrittura. Poi abbiamo deciso di arrangiarlo con uno stile molto anni ’70 e a quel punto acquistava un senso. Racconto in Così vicini un mondo – sia musicalmente che dal punto di vista sociale – ricco di fermenti e voglia difare. Certo ci sono state diverse zone oscure.

Tu e Saverio Lanza lavorate a distanza, è una corrispondenza web che potrebbe però essere anche un limite…

Ogni tanto ci si vede ma io non trovo la distanza come un limite…Perché quando si scrive può esserci anche un computer di mezzo ma di fatto ci sei tu e il tuo estro creativo. Hai bisogno di intimità, perché per sentire appieno le emozioni devo viverle e trasmetterle a chi mi ascolta nel modo più vero e viscerale possibile.

Canti «Il senso delle cose si racconta con parole silenziose»…

È un modo per dire che non è vero che le cose devono essere urlate e imposte per forza. Bisogna fare attenzione, andare oltre l’apparenza soprattutto nelle vicende della vita che ci fanno male. Eventi forti che ci cambiano e che spesso non siamo in grado di gestire e elaborare come vorremmo.

Comporre musica sembra quasi, per te una sorta di terapia…

Sì, credo di scrivere per dare risposte a me stessa. Tendenzialmente sono molto disordinata, nel parlare apro mille finestre, mi perdo in tanti pensieri. Invece quando ci si siede per comporre un brano bisogna tener conto di certi parametri e modalità che ti costringono a un ordine interiore. Una cosa che mi piace e mi stimola ed è sicuramente terapeutico per me e, mi dicono, anche per chi mi ascolta. Trovo fondamentale l’uso della voce. Quando mi chiedono cosa significa per me cantare ricordo un episodio dell’infanzia, intorno ai cinque anni quando mi capitava di cantare piangevo. Ma non era sofferenza era un’emozione forte che provo molto spesso quando salgo sul palcoscenico. Io ho cominciato a comporre proprio per poter interpretare in modo corretto le mie emozioni…

Lo scorso luglio hai partecipato alla messa in scena di Tommy sul palcoscenico del teatro Romano di Fiesole. Un’opera rock che non smette di affascinare diverse generazioni…

Ha dentro un messaggio sociale fortissimo e un impatto sonoro estremo. La proposta mi è stata fatta dall’associazione fiorentina Nem che lavora su repertori rock e sui loro interpreti. Fino ad allora non ero mai riuscita ad entrare appieno nel repertorio di Pete Townshend e degli Who, cosa che invece appassiona mio marito (Davide Sapienza, traduttore italiano di Jack London, ndr). Tommy è una storia di attualità straordinaria e affronta per la prima volta il tema degli abusi sui minori e sulla violenza. È stato un lavoro bellissimo e impegnativo dal punto di vista vocale…

Tu hai fatto una scelta di vita ben precisa staccandoti dalla città e andando a vivere fra le montagne del bergamasco, in Val Seriana. Un tema – quello del rapporto con la natura che torna spesso nelle tue canzoni – come in «Senza parole» che conclude il disco

Non prendersi cura dell’ambiente sta procurando danni enormi al pianeta, non lo scopro di certo io. Penso – e l’ho sperimentato lasciando la città – che è necessario fare un passo indietro per scoprire certi meccanismi. Guardare il paesaggio non basta, bisogna viverlo per capire che tu sei parte di quella cosa lì. Noi ci siamo urbanizzati – e non trovo nulla di disdicevole in questo – ma ogni volta che torniamo a stretto contatto con la natura stiamo bene. E allora è forse il caso di porci delle domande…