Chi si aspetta una sorta di «giudizio» definitivo sulla figura di Donald Rumsfeld rimarrà senz’altro deluso. Del resto lo schema ideologico non appartiene per definizione al cinema di Errol Morris, che al contrario costruisce le sue «investigazioni» in modo implacabilmente progressivo, utilizzando conflitti interni e invisibili, slittamento di senso, evidenze rimosse.

E così il confronto con l’ex-segretario della Difesa americano, Donald Rumsfeld, il fabbricante primario del teorema della guerra in Iraq si gioca sul filo (tagliente) della parola, e dei suoi significati; un piano duplice, che non è solo quello di «verità» e «menzogna», e punta invece alla tattiche del potere. Rumsfeld ha responsabilità precise,enormi, migliaia di morti in Afghanistan e in Iraq ci dice in buona sostanza Morris, ma senza di lui la guerra assai probabilmente ci sarebbe stata lo stesso.

The Unknown Known, in concorso e il più applaudito film visto finora (sarà nelle nostre sale grazie alla neonata I-Wonder in autunno), diviene dunque una riflessione sull’America, politica culturale, sviluppata nelle logiche del potere, e con al centro uno dei suoi protagonisti più terribilmente influenti.

Morris costruisce la sua indagine utilizzando diversi elementi, soprattutto i «fiocchi di neve», i promemoria che a migliaia Rumsfeld negli anni della sua carriera politica, iniziata quando era giovanissimo, lasciava «cadere» intorno a sé, in modo da direzionare le altrui opinioni. Il titolo rimanda a una di quelle sue frasi sibilline con cui ha cercato dall’inizio di motivare l’intervento in Iraq: ci sono cose che sappiamo, cose che non sappiamo, e cose che non sappiamo di sapere. Però alla domanda se l’amministrazione Bush era certa che Saddam avesse armi di distruzioni di massa, Rumsfeld allora come ora rimane muto.

Ammicca, sorvola, si nasconde tra quelle parole che sa manovrare abilmente, e che in realtà non dicono mai nulla. Abilissimo istrione davanti alla macchina da presa, il sorriso che diviene ghigno,inquietante nella sua determinazione da fedelissimo repubblicano Rumsfeld è maestro nella tattica della sottrazione. Di fronte all’evidenza capovolge le sue stesse frasi, nessuno aveva mai unito Saddam a Osama Bin Laden dice alla domanda di Morris. Eppure gli archivi televisivi dei suoi discorsi pubblici con cui preparava la guerra, ci dicono il contrario.

Se «l’ignoto noto» appare come uno sberleffo lessicale, nel fiocco di neve che apre il film, l’opinione su Saddam e sulle scelte da fare di Rumsfeld è sin troppo chiara: dobbiamo schiacciarlo. Morris va indietro nel tempo, scava negli archivi della giovinezza di quel ragazzo ambizioso, entrato molto giovane in politica, sposato alla stessa donna come dice orgoglioso per sempre. Vicino a Nixon, poi a Ford, di cui è consigliere alla difesa, gli è accanto quando gli sparano addosso. Stessa ossessione nella costruzione del nemico per giustificare aggressività nella politica estera e controllo interno. Prima erano i comunisti, decenni dopo sarebbe diventato il terrorismo islamico.

Fedele al potere che nonostante questo lo allontana, Reagan lo manda come inviato speciale in Medio Oriente quando lui si aspettava la promozione a vice presidente. Rumsfeld non si sbilancia, non dà mai giudizi nemmeno quando le cose lo toccano più da vicino. Tutto ha una sua necessità, nessun commento sia davanti al Watergate che alle immagini di Baghdad distrutta, e di una guerra sfuggita dal controllo. Smorza, evita, misura, prende le distanze. Sono gli «effetti collaterali», quelli che i governi praticano in dosi massicce, autoassolvendosi. Non è uno che esegue gli ordini, Rumsfeld, lui li dà, traccia la linea che sarà quella della paese, e questo non può ai suoi occhi essere mai sbagliato.

[do action=”citazione”]E il terrorismo? Leggiamo in sovrimpressione al volto di Rumsfeld la definizione sul vocabolario. In quello personale dell’intervistato sono Osama Bin Laden, l’11 settembre, gli attentati, Saddam. E la guerra come definirla quando diventa massacro e annientamento di un paese? Perché l’avete fatta? Chiede Morris, declinando nel sostantivo «voi» la sua presa di distanza. Voi chi? Chiede Rumsfeld. Voi/Noi risponde Morris, l’America.[/do]

Questo slittamento semantico è anche lo spazio in cui Morris pone il confronto. Che è quello della parola, la parola delle menzogne, le parole della negazione, l’assenza delle parole. La Storia è lì, e interroga quelle parole inanellate per confondere, che vengono respinte, si auto annullano. Siamo su un altro piano rispetto al precedente Fog of War, e stavolta Morris non «inchioda» Rumsfeld come lì ha fatto con McNamara. Ma questo, appunto, perché la partita si gioca altrove, e passa anche al di là di Rumsfeld. Il tentativo di fronte a una Storia che si ripete,e la cui lezione sembra rimanere inascoltata, e mostrare il fuoricampo del potere, nella cui logica shakespeariana lo stesso Rumsfeld viene divorato. Abu Ghraib, Guantanamo, che osserva piccato Rumsfeld è ancora lì nonostante le promesse di Obama.

Non c’è tortura, afferma, eppure testimonianze e rapporti della Croce Rossa parlano di condizioni inumani e torture feroci. Anche questo è un «danno collaterale» naturalmente. Ma nessuna frase dell’ex-segretario, a dispetto della sua abilità, riesce a darne una spiegazione. Parole. Immagini. The Unknown Known pone delle domande anche allo statuto del cinema come memoria collettiva, e strumento di resistenza alla rimozione, o alla mancanza di immaginazione che governa il fare della politica
Non c’è nulla che glorifichi Rumsfeld, o che gli fornisca un minimo appiglio di calore nella messinscena gelida e essenziale di Morris.

La scommessa è tutta in quel rapporto tra parola e immagine, nella costruzione di una faccia pubblica del potere e nel suo capovolgimento. Il mare di parole di carta a cui si appiglia Rumsfeld svanisce, schiacciato da una responsabilità che l’uomo Rumsfeld, a differenza di McNamara non prende neppure in considerazione come la strategia del potere insegna. L’errore nel suo caso non esiste, eppure è lì, davanti i nostri occhi, in ogni giravolta di quelle sue parole che nonostante i suoi sforzi smascherano con agghiacciante lucidità un mondo.