Il nazionalismo spagnolo si è risvegliato (ammesso che si fosse mai addormentato) ed è tornato senza pudore ad accaparrarsi l’attenzione mediatica. Complici la crisi catalana, la debolezza del governo Rajoy – che non riesce a far approvare nessun provvedimento, figuriamoci la finanziaria 2018 – e la volontà spasmodica di Ciudadanos di sembrare il più spagnolo di tutti nel tentativo di sottrarre al Pp il ruolo di partito egemone della destra, il brodo di coltura nazionalista sta già generando mostri.

L’ultimo e più mediatico dei quali si chiama Marta Sánchez, una cantante destrorsa (cantava per le truppe ai tempi della guerra del Golfo) che domenica ha avuto la geniale idea di presentarsi di rosso vestita alla fine di un suo concerto (a Madrid, a due passi dal palazzo reale), e su uno sfondo rojigualda (i colori della bandiera spagnola) ha cantato l’inno nazionale. Con delle parole inventate da lei per l’occasione. Già, perché l’inno spagnolo è uno degli unici quattro al mondo senza parole (assieme a Kossovo, Bosnia-Herzegovina e, curiosamente, San Marino). Quando venne composto, all’epoca di Carlo III (secolo XVIII) era solo una marcia reale. Abbandonato durante la repubblica (tra il 1931 e il 1937), è rimasto lo stesso da allora, per non riaprire la ferita costitutiva spagnola, la presenza di diverse identità culturali e linguistiche nel paese. Tentativi di metterci le parole non sono mancati nel corso dei decenni, ma per un motivo o per l’altro sono rimasti tali.

Da domenica invece Marta Sánchez è al centro di tutti i talk show: Mariano Rajoy, Albert Rivera (Ciudadanos) e la Guardia Civil l’hanno addirittura pubblicamente ringraziata. Un esponente del Pp è arrivato a chiedere che venga cantato nella prossima finale della Copa del Rey. Non è da escludere che, dato il clima politico e l’assenza di altri dibattiti parlamentari per il blocco del Pp, in questa occasione la proposta possa arrivare a qualcosa di più di una trovata propagandistica di una cantante sul viale del tramonto. Soprattutto sui balconi catalani – e ormai in molte altre città di Spagna – la politica ormai si fa con le bandiere e gli inni. E in questo scontro, a perdere è sempre la sinistra. Come fa notare la bloguera femminista Barbijaputa sul eldiario.es, «le bandiere le fanno sventolare sempre gli stessi e per gli stessi motivi: per reprimere i cittadini catalani, per togliere alle donne i diritti sul proprio corpo, per cercare di frenare l’avanzata dei movimenti Lgbt», non certo nelle manifestazioni in difesa dell’educazione pubblica, della sanità o contro la violenza machista.