Nei giorni di Natale del 1891, Stoccolma poltriva sotto una coltre di neve quando si risvegliò d’improvviso con una scrittrice in più. Nelle grandi distese svedesi veniva pubblicato il romanzo di una sconosciuta che all’epoca aveva trentatré anni, era insegnante di professione e presto, nel 1909, sarebbe diventata la prima letterata a conquistare il Nobel. Si chiamava Selma Lagerlöf e il libro La saga di Gösta Berling, stravagante montaggio delle attrazioni che cuciva insieme leggende e tradizioni del folklore nordico.
Quegli aneddoti popolari vorticavano tutti intorno alla figura del protagonista che dà titolo all’opera, un ex prete dalle attitudini faunesche con il gusto acceso per il piacere. Era a capo di una masnada di cavalieri smarriti, pronti a perdersi nelle ramificazioni della vita, sfoderando comportamenti non sempre epici. Eppure, quel pulviscolo di antieroi era depositario della mutevolezza dell’animo umano.

Nata a Värmland e cresciuta nella tenuta di Mårbacka di cui era proprietaria la nonna paterna, Selma Lagerlöf nutrì la sua immaginazione ascoltando avidamente le storie della sua terra. Sono le stesse che ritroviamo in Uomini e Troll, la raccolta di racconti pubblicata da Iperborea (traduzione di Emilia Lodigiani e Andrea Berardini, pp. 192, euro 16,00) che in una miscela di soprannaturale, superstizioni e normalissima quotidianità testimonia lo stile di un’autrice che piacque molto anche al cinema.

Il favore del grande schermo lo si deve al dinamismo imprevedibile dei suoi personaggi, spesso attraversato da un afflato religioso che conduce a sorprendenti risultati. Fu il regista Victor Sjöström, fin dal 1917, a riconsegnare nei film muti gli abitanti delle trame di questa scrittrice. Il mondo fiabesco e assai poco accogliente dei boschi scandinavi, la difficile sfida di individui piegati da una natura ostile, costretti a pattuire la loro protezione con esseri «alieni» e infingardi come troll, folletti dei laghi e creature fatate, sono alcuni degli ingredienti che Lagerlöf rielaborò, disseminandoli di elementi autobiografici. Tanto che quando, ai primi del ‘900, percorse in lungo e largo il suo paese insieme alla eterna compagna Sophie Elkan, per redigere un manuale di geografia che fosse in grado di catturare l’attenzione dei bambini, nemmeno la cartografia della Svezia riuscì a immunizzarsi dalla sua indole.

La visione in soggettiva dell’autrice traslocò nello spirito di Nils, il monello che sorvolava città e foreste fra le ali di un’oca domestica. In Uomini e Troll è il cocktail di storia e leggenda a imbastire una serie di parabole esistenziali. La pietas femminile regola a distanza lo scambio dei neonati tra madre umana e mamma orchessa e invera poi la silhouette di Mathilda Wrede, nobildonna che rinuncia a tutto per stare vicina ai criminali peggiori. Al centro di ogni racconto, c’è la scoperta della solitudine e il tentativo di esorcizzare la morte.

Quando il calzolaio apprendista, dando fiducia alle credenze, entrerà nel cimitero per rubare la terra di sepoltura e conquistare un folletto servitore, dovrà fare i conti con un’etica interiore e un’altra sociale, i due pilastri che segneranno l’amaro rito di passaggio verso l’età adulta.