In una conferenza nel 1961 a New York, George Maciunas usa per la prima volta il termine Fluxus ad indicare le caratteristiche del movimento che sta costruendo. Le opere, e ancor più le azioni, debordano e scorrono come un fiume in piena ponendosi in modo violentemente antagonista all’arte, intesa come oggetto di consumo per pochi.

Spersonalizzazione dell’arte e formulazione di una prassi esecutiva che tende all’idea del «tutto è arte», trovano proprio nel libro un luogo privilegiato di comunicazione. In questo scenario, il libro comincia a perdere la sua forma convenzionale, si dilata sino ad elevare l’indeterminazione e il caos a struttura portante delle idee. Non è quindi un caso se le prime sperimentazioni consapevoli sul supporto libro – condotte con visione alternativa su quel «supporto-luogo» per il quale sarebbe nata la denominazione di «libro d’artista» – risalgano proprio agli anni ’60.
Per gli artisti Fluxus, il libro diviene l’opportunità di uno spazio aperto, soprattutto nel senso di pubblico. «In una situazione in cui il libro e l’industria mediatica bloccavano l’accesso imponendo rifiuti, la sola alternativa per gli artisti era di pubblicare i propri lavori autonomamente», scrive Dick Higgins (in Studio International, vol.195, London, 1980). In quanto supporto-luogo di immagini, testi, segni e materiali diversi, del tutto versatile nel formato e nel contenuto, il libro risulta essere il prodotto intermedia ottimale. Per di più, la sua riproducibilità facile ed economica lo rende strumento atto a restituire nel migliore dei modi il progetto di una diffusione democratica della cultura. Ribaltato il ruolo ufficiale e la natura elitaria, il libro, Fluxus vive in pieno la sua condizione clandestina sottraendosi alle modalità canoniche – non soltanto del suo concepimento, realizzazione, distribuzione e proposizione – svicolando sul piano commerciale, e assurgendo al ruolo di strumento di lotta per incidere, per la sua parte, sulla dicotomia vita/arte.

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In questo modo, l’artista guadagna la piena autonomia nella produzione delle proprie opere, divenendo editore di se stesso, facendo ricorso anche a nuovi processi di stampa, spesso a basso costo per una più ampia distribuzione (ciclostile, xerocopia, off set).
Il libro sostituisce il museo, la galleria d’arte, il teatro e deve contenere, oltre alle sue abituali capacità informative, anche le potenzialità intermediali proprie della pratica artistica. Diventa evento e insieme contenitore di pensiero, immagine e presenza fisica dell’oggetto artistico. La morfologia tradizionale dell’oggetto libro risulta sempre più inadeguata a contenere tutto questo e si trasforma allora in boîte, contenitore, raccoglitore, scatola.

Il libro d’artista Fluxus perde la fisicità propria di questo oggetto e insieme la sua distribuzione abituale: le gallerie d’arte e le librerie saranno sostituite da un sistema di comunicazione e distribuzione senza intermediazioni. La necessità di divulgazione dell’opera e la ritrovata consonanza tra arte e vita quotidiana rendono i nuovi libri d’artista raramente «unici» e a tiratura limitata, ma piuttosto multipli realizzati in un indeterminato numero di copie che non perdono valore nella loro moltiplicazione poiché solo in questo modo assolvono la loro funzione.

Sempre più, sono i primi anni del decennio Sessanta, il libro asseconda quel processo di frammentazione della parola sulla pagina che i poeti concreti e visuali avevano inseguito già dal decennio precedente. Il libro, tendendo a diventare anti-libro, non è più rappresentazione o narrazione dell’opera ma è esso stesso «opera» che si mette al servizio delle più diverse esperienze. Spesso il singolo autore non è bastante, il movimento che ha demolito la figura sacrale dell’artista sostituisce l’autorialità del singolo con un sistema collettivo che meglio si adatta ai nuovi bisogni. L’oggetto libro si è frantumato e la frantumazione ha coinvolto il suo autore.

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L’evoluzione più evidente è, senza dubbio, l’elezione degli oggetti più disparati al rango di libro. Oggetti che si presentano come enigmatici e assolutamente illeggibili se non come metafora strettamente connessa alla poetica sviluppata dall’autore del libro stesso. Sono i cosiddetti «libri oggetto», definizione che evidenzia la difficile assimilazione di una così secca posizione rispetto all’oggetto da sempre depositario della cultura e della memoria umana.
La più raffinata evoluzione – anche se forse ancora oggi la meno analizzata – avviene invece nell’impostazione grafica. Diretta figliazione delle sperimentazioni Dada e Futuriste, grazie alle geniali soluzioni escogitate da Maciunas e da George Brecht, la grafica diventa protagonista evolvendosi da semplice «grazia» stilistica tesa a rendere più bello e leggibile il testo stampato a elemento centrale del libro, in alcuni casi unico vero soggetto di tutta l’opera. Forse è proprio per questo che molte delle soluzione grafiche di Maciunas riescono ancora ad influenzare la produzione contemporanea.
Qui non s’intende percorrere la storia del Fluxbook, del resto la stessa idea di Fluxus, per la sua natura fluente e ininterrotta, rifiuta ogni storicizzazione. Questo primo approfondimento sul libro d’artista in ambito Fluxus indica, proprio in questa ricerca estetica, uno dei momenti di più feconda e irriverente trasformazione del medium libro.

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Ci serve ora solo citare il libro generatore di questa storia – An Anthology – che non solo nella sua forma e nei suoi contenuti, ma specialmente con il suo titolo completo è capace di spiegare, programmaticamente e meglio di ogni altra parola, il senso di Fluxus. Eccolo: An Anthology of Change Operations, Concept Art, Anti-Art, Indeterminacy, Improvisation, Meaningless Work, Natural Disaster, Plans of Action, Stories, Diagrams, Music, Dance Constructions, Compositions, Mathematics, Poetry, Essays.
Sono programmi, contenuti, enunciati, discipline, visioni. Persino quel titolo, composto tipograficamente da Maciunas, rifiuta una lettura logicamente consequenziale, dandoci la possibilità di comporre l’insieme e la successione delle parole a nostro piacimento. È già presente – in questo titolo – l’alimento per una generazione che segnerà l’estetica dei due decenni successivi. Il libro nella sua struttura tradizionale è esploso, pronto ad aprire le successive modificazioni nelle mani di Fluxus.

L’ultimo passaggio della mutazione genetica del libro è compiuto appena pochi anni dopo, 1966-1967, con la Fluxus Year Box 2 che perde definitivamente le pagine per diventare box contenitore. Le scatole sono un nuovo oggetto che cambia forma, materiale e modalità d’uso. Il box, e la debordante filiazione di oggetti similari firmati da singoli artisti, sono ora concepiti come «narrazioni non lineari» da muovere, toccare, odorare, distruggere, riassemblare, giocare. Interattività e manipolazione creano uno stato di ricombinazione continua, moltiplicano l’interpretazione e implicano il completo coinvolgimento fisico, e non solo intellettuale, del lettore che non è più tale.