«Ieri notte sono morto»: ha inizio così il libretto di Le ossa di Cartesio, intensa, emozionante opera in un atto e sei capitoli su testo di Guido Barbieri e musica di Mauro Cardi, nata da una coproduzione tra l’Associazione OperaInCanto di Terni e Nuova Consonanza, che è andata in scena il 7 novembre al Teatro Palladium di Roma. Seduto in proscenio, è lo stesso Cartesio, interpretato con grande accuratezza dall’attore Franco Mazzi, a raccontare la sua morte, per dimostrare che non è avvenuta – come la storia tramanda – a causa di una banale polmonite contratta a Stoccolma, dove si trovava per dare lezioni private di etica e di morale alla regina di Svezia. La causa fu invece, come avrebbe poi affermato lo studioso tedesco Theodor Ebert, l’avvelenamento da arsenico ad opera di un emissario di Papa Innocenzo X, preoccupato che il pensiero «eretico» di Cartesio distogliesse la sovrana dal proposito di convertirsi al cattolicesimo. L’arma: un’ostia avvelenata al giorno.

HA INIZIO così il «giallo seicentesco»: indimostrabile, forse, ma abbastanza affascinante da prestarsi a fornire l’assunto di questa opera, i cui autori immaginano Cartesio, da morto, mentre ricostruisce le vicende che lo hanno portato alla fine, e intanto dialoga con le «ombre» delle persone che sono state per lui importanti.
Nella mise en espace del regista Enrico Frattaroli, drammaturgia e musica si intersecano, mentre i personaggi della storia emergono dal buio del palcoscenico evocati dal filosofo: Cristina di Svezia (il soprano Valeria Mastrosova), la cantante di corte e Helèna, moglie di Cartesio e madre della sua unica figlia (entrambe interpretate dal soprano Patrizia Polia). E poi, il presunto avvelenatore, l’abate Viogué, e il medico personale van Wullen, per la voce del basso Federico Benetti, che impersona anche il capitano Planstrom delle Guardie Regie svedesi, il quale, durante la traslazione della salma da Stoccolma a Parigi, ruba il teschio di Cartesio, impedendo così alla testa del filosofo di ricongiungersi con i suoi «amabili resti».
La trama si infittisce. Ed è ancora Cartesio a raccontarla, dolendosi per le sue ossa, rubate pochi anni dopo la propria morte. Il testo narrativo è assai efficace, di fantasia, ma basato su dati storici, con fatti, luoghi e date verificabili: fra i racconti, quello sulle sorti strane e misteriose del cranio del filosofo, ricomparso a Stoccolma nel corso di un’asta, coperto dalle firme di chi ne era venuto in possesso, a partire dalla fine del Seicento fino al momento della vendita e poi della donazione alla Francia.

ANCHE LA MUSICA di quest’opera è ispirata a Cartesio, alle sue simmetrie, alle sue intuizioni; ma soprattutto alle sue passioni, quelle che il filosofo, nel trattato Les passions de l’âme, pubblicato pochi mesi prima della morte, riconduce non ai moti dello spirito ma a quelli del corpo. E mentre sul fondale del palcoscenico vengono proiettate immagini antiche, ispirate alle sei passioni contrastanti di amore e odio, gioia e tristezza, desiderio e meraviglia, le citazioni da musiche di Haendel, Sigismondo D’India, Claudio Monteverdi, Barbara Strozzi e Domenico Mazzocchi si incontrano e si intrecciano, senza attrito, con quelle composte per l’occasione da Mauro Cardi e magistralmente eseguite dall’Ensemble In Canto diretto da Fabio Maestri. Uno splendido trio finale unisce le voci delle persone care a quella di Cartesio.