Un tempismo perfetto: a poche ore dal lancio dell’operazione militare turca contro l’Isis nel nord della Siria e l’ok statunitense ad una parziale no-fly zone (tanto bramata da Ankara), le opposizioni moderate fanno di nuovo capolino.

Da Bruxelles, dove ha un ufficio permanente, la Coalizione Nazionale Siriana (federazione delle opposizioni moderate anti-Assad, considerata dalla comunità internazionale sola rappresentante del popolo siriano) insieme al Coordinamento Nazionale per il Cambiamento Democratico ha presentato una nuova road map. Dietro, un accordo politico tra i due gruppi – governo di unità nazionale, come previsto dalla prima conferenza di Ginevra del 2012 – fondato su un obiettivo comune: la testa di Assad.

L’accordo pone fine a anni di divisioni interne: la Coalizione accusava il Coordinamento di cooperare con Assad, accusa a cui il Ncdc rispondeva denunciando la Snc di vivere grazie ai finanziamenti del Golfo.

«Oggi rompiamo la parabola di mancanza di unità interna alle opposizioni», ha annunciato Khalaf Dawoud, membro del Coordinamento. Gli ha fatto eco Hadi Bahra, della Coalizione Nazionale: «È un messaggio alla comunità internazionale perché eserciti pressione e discuta seriamente su come portare il regime siriano al tavolo per una transizione politica».

Ma la transizione politica immaginata è a senso unico: la soluzione, hanno detto i due gruppi in conferenza stampa, deve prevedere «un cambiamento fondamentale e comprensivo dell’attuale regime politico, compreso la testa del regime, tutti i suoi leader e le agenzie di sicurezza». Un’imposizione che modifica la precedente posizione del Coordinamento, aperto in passato ad un’eventuale partecipazione del presidente, tanto da restare attivo – a differenza della Coalizione – all’interno del paese.

Nel frattempo, il governo Assad a Damasco riceveva l’inviato Onu Staffan de Mistura, ancora impegnato nel tentativo di trovare una soluzione diplomatica alla crisi. De Mistura ha incontrato il ministro degli Esteri al-Moallem che ieri in conferenza stampa ha aperto al dialogo sponsorizzato dalla Russia a Mosca, ma affossato la proposta di una nuova conferenza stile Ginevra. Un’iniziativa «prematura fino a quando i siriani stessi non saranno in grado di affrontare i propri problemi da soli».

Nel calderone siriano pare che ognuno agisca per conto proprio, avendo come stella polare interessi particolari. E se il governo per ora rigetta la chiamata all’ennesimo negoziato Onu, le opposizioni moderate tentano di risalire la china. Il momento è strategico: l’accordo siglato dall’Iran a Vienna probabilmente moltiplicherà gli aiuti finanziari e militari di Teheran a Damasco, a tutto svantaggio di quei gruppi che hanno perso terreno a favore sia dell’esercito siriano che della miriade di milizie islamiste attive nel paese.

Ma il momento è strategico anche per il coinvolgimento militare di Ankara: le bombe sganciate dai jet turchi sull’Isis nel nord della Siria cambiano le carte in tavola. La Turchia è uno dei principali sponsor delle opposizioni moderate: ne ha ripetutamente ospitato i meeting, è stata rifugio ai leader in esilio ed è una delle sedi del programma Usa per l’addestramento di 7mila miliziani dell’Esercito Libero Siriano, braccio armato della Coalizione.

Un programma da 500 milioni di dollari ancora fermo al palo per stessa ammissione del Pentagono. Seppure il primo contingente, qualche decina, abbia completato l’addestramento in Giordania e sia rientrato in Siria a bordo di pick-up nuovi di zecca e con in spalla armi automatiche, il numero di combattenti «è molto più basso del previsto».