Accosto due scritti di Enzo Carli.

Due brevi interventi: Come viaggiano le opere d’arte e Mani d’angelo per Simone. Potrebbero esser definiti minori se non, addirittura, d’occasione tra i molti e importantissimi studi e contributi dell’eminente storico dell’arte. Sarebbe nel caso un giudizio non solo irragionevole, ma rivelatore del poco intendimento, riguardo a fatti e a pensieri intorno alle opere d’arte, di chi, eventualmente lo formulasse. In un loro finissimo modo i due testi si occupano delle opere d’arte nella loro concreta qualità di manufatti, nella loro materiale, fisica realtà di oggetti. Pietre, legni, stoffe, intonaci, carte che esigono una custodia e speciale salvaguardia.

Sorveglianza e cura che si applica ad oggetti concepiti e prodotti per essere mostrati, perché è nella esposizione che la loro effettualità di cose si perde, svanisce per acquistare consistenza di immagine, trasformarsi in intellettuale apparenza. Guardare e riguardare, contemplare le opere poste dinanzi agli occhi nella giusta luce.

Carli dà avvio a Mani d’angelo per Simone con queste parole: «Nella maggior sala del Palazzo Pubblico di Siena, davanti alla mirifica visione della Maestà che Simone Martini terminò di affrescare probabilmente a metà giugno del 1316, due mani angeliche si sporgono da un invisibile Paradiso: mani che un tempo avevan l’ufficio di indirizzare la discesa di due corde, o catenelle, che sorreggevano lumi votivi».

Lampade che, oltre un intento di venerazione, grazie alle servizievoli mani diffondevano una sobria luce sulle mistiche figure dipinte: «poetico, toccante pensiero quello di nobilitare il meccanico compito di due carrucole per saliscendi che venivano manovrate presso le pareti laterali dell’affresco».

Un apparato che non può dirsi estraneo al costrutto figurale delineato da Simone sulla grande parete.

E Carli, consapevole che «tutto quanto ha rapporto con un capolavoro memorabile quale la Maestà mi par degno di amoroso riguardo», dedica alle mani d’angelo una pagina critica e interpretativa memorabile. La descrizione che Carli ci fa delle due mani è, a mio giudizio, una delle pagine perfette della letteratura artistica del Novecento. Parte dall’intaglio dei due «compatti blocchi di legno di noce», ne descrive minutamente la ‘policromatura’ ricorrendo ai precetti di Cennino Cennini, fino a rilevare «l’eleganza con cui esse appaiono plasticamente concepite e realizzate, e che non hanno forse l’uguale nella scultura lignea trecentesca, dove spesso le mani, se chiuse sono tozze e inarticolate e se aperte sono rigide e dalle dita a pettine o a forchetta». Come se la funzione alla quale eran destinate avesse suggerito allo scultore «una ricerca di grazia».

Già, perché accudire un’opera d’arte richiede il possesso di tutte le virtù che stanno a corredo della grazia: delicatezza, attenzione, rispetto. E garbo e scrupolo e, non esito a dire, gentilezza.

Sono le medesime doti che Carli raccomanda in Come viaggiano le opere d’arte.

Anche in questo caso la ‘grazia’ deve tradursi in una meticolosa operazione affidata a mani capaci di approntare per ciascuna singola opera la adeguata maniera di imballaggio e di trasporto. «Pertanto, avverte Carli, ogni decisione in merito dovrà essere il frutto di una profonda, particolareggiata conoscenza di tutte le caratteristiche dell’oggetto che dovrà viaggiare».

L’opera, valutata nella sua realtà di manufatto viene rivestita di un altrettale manufatto che le corrisponde e la replica in negativo, concepito come una realizzazione analoga, un calco, una matrice, un conio. L’elenco dei materiali da utilizzare negli svariati «metodi di imballaggio» che Carli cita, rivela la sua competenza: regoli di legno smussati agli angoli, bande metalliche, viti munite di tondelli, carta tela incatramata, strati di carta velina, ovattina, bambagia, spaghi, funicelle, cuscinetti di truciolo finissimo, baggioli e sobbaggioli.

Sensibilità ai materiali. Carli scriveva Come viaggiano le opere d’arte nel 1952. Sapeva bene che quei materiali da imballaggio conseguivano in quel torno d’anni un loro autonomo statuto d’arte, contenessero o meno una tavola di Leonardo o un marmo di Michelangelo da far viaggiare.