Una nuova era, l’era della “cosmologia delle onde gravitazionali” è cominciata. L’ha detto ieri Laura Cadonati, la vice portavoce di Ligo, l’osservatorio di onde gravitazionali negli Stati Uniti che lavora in collaborazione con l’italo-francese Virgo, vicino a Pisa, nella conferenza stampa più attesa dalla comunità di fisici e astrofisici del mondo. Già, perché il 2017 è decisamente l’anno delle onde gravitazionali, che si erano già meritate qualche settimana fa il premio Nobel per la fisica (https://cms.ilmanifesto.it/fisica-il-nobel-non-puo-sfuggire-alle-onde-gravitazionali/). E perché ormai anche la scienza dura è glamour, fa conferenze stampa in streaming mondiale, con ostentazione di fair play fra le diverse squadre di ricercatori e grande presenza di protagoniste femminili, e pubblica ben 7 articoli scientifici coordinati con migliaia di autori (https://www.ligo.caltech.edu/page/detection-companion-papers).Tutti accessibili liberamente già da ieri, evviva l’open science.

La notizia che è stata resa nota ieri, dopo che si erano rincorse per settimane voci su questo risultato strabiliante, è che per la prima volta la rilevazione di un’onda gravitazionale – è solo la quinta – è stata seguita da una serie di rilevazioni dello stesso oggetto celeste in tutte le lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico della luce.

Le onde gravitazionali hanno aperto cioè una nuova era dell’osservazione del cosmo. Paragonabile al salto che venne fatto quando dall’occhio nudo si passò a osservare il cielo con un telescopio, o oltre alla luce visibile si iniziò a osservare l’universo con gli occhiali delle frequenze invisibili, come l’infrarosso, i raggi gamma, o le onde radio. La storia inizia 130 milioni di anni fa, nella galassia NGC4993 nella costellazione di Idra, nell’emisfero nord. Due stelle di neutroni, cioè due stelle nelle ultime fasi della loro vita, orbitavano una intorno all’altra sempre più vorticosamente, fino a scontrarsi. Tanto per farsi un’idea, le stelle di neutroni sono gli oggetti più compatti che esistono, così compatte che sono appunto fatte di neutroni. In pochi chilometri di diametro possono racchiudere la massa del sole, e un cucchiaino della sua materia pesa più di dieci milioni di tonnellate.

Lo scontro fra due oggetti di questo tipo, secondo tutti i modelli messi a punto dagli astrofisici ma finora mai osservati direttamente, genera una quantità di energia enorme che a sua volta provoca una serie di effetti visibili a milioni di anni luce di distanza. Come in questo caso: le due stelle si scontrarono quando ancora i dinosauri passeggiavano sulla terra, e gli effetti di questo evento ci hanno raggiunto solo il 17 agosto scorso verso le 9 di mattina. Ma non solo: secondo quanto previsto da Einstein cento anni fa, un evento del genere provoca un arricciamento della curvatura dello spazio: un’onda gravitazionale, sufficientemente significativa da essere osservabile.

Ma solo oggi. Perché fino a pochi mesi fa, quando gli osservatori Ligo e Virgo hanno iniziato a lavorare assieme, non eravamo in grado di rilevare queste sfuggentissime onde con tanta precisione.

Grazie alla coordinazione fra i due strumenti, è stato possibile circoscrivere la zona di cielo dove doveva essere avvenuta l’esplosione. La difficoltà di questa impresa consiste nel fatto che una volta identificata la zona da osservare, trovare il proverbiale ago nel pagliaio è complicato. Bisogna infatti essere rapidissimi: il pagliaio – le galassie – è molto grande, e l’ago diventa sempre meno brillante, perché la luminosità dell’esplosione tende a scemare, in maniera progressiva nelle diverse lunghezze d’onda. Ma stavolta nelle ore e settimane seguenti una settantina di telescopi sparsi sulla terra e alcuni anche in orbita hanno cominciato a osservare intensamente l’area. E per la prima volta gli astronomi hanno osservato il puntino dell’esplosione cosmica a partire dall’avviso lanciato da un’onda gravitazionale, fino a poterlo ritrarre in tutte le fasi, dall’energia più alta (i raggi gamma) fino alle onde radio (la coda di energia che si mantiene più a lungo nel tempo).

In questo modo non solo sono riusciti a confermare i modelli su cui lavorano da anni per descrivere questo tipo di fenomeni esplosivi. Ma hanno anche osservato per la prima volta una “kilonova”, cioè un oggetto stellare, prodotto dello scontro delle stelle di neutroni, che produce gli elementi più pesanti del ferro (prodotto dall’esplosione di supernove): metalli come l’oro, il platino, l’uranio. L’osservazione della zona ha confermato che ce n’è circa il 5% della massa del sole. Un bel tesoro d’oro e altri metalli rari.

Grazie alle numerose osservazioni in tutte le frequenze, gli astronomi hanno potuto costruire un modello che le spiegasse coerentemente, compreso il fatto che in alcune bande di frequenza, l’intensità era inferiore al previsto: è che noi stiamo osservando il getto in modo obliquo.

Nanda Rea, dell’Istituto di scienza dello spazio del Csic (Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo) e dell’Università di Amsterdam, nonché vincitrice della prestigiosa Medaglia Zeldovic dell’Accademia russa delle scienze per i suoi studi sulle stelle a neutroni è entusiasta. “Aspettavamo questo momento da molte settimane, per me è stato emozionantissimo”, spiega. “È la conferma che molti i modelli sulle stelle di neutroni funzionano bene. Non vedo l’ora che le onde gravitazionali ci aprano nuove strade e ci diano nuovi problemi da risolvere”.