Il Pnrr è approdato in Europa con le sue trecento pagine esaminate dal Parlamento in soli tre giorni e con altre duemila aggiunte come annessi integrativi. Si tratta di un progetto importante ed ambizioso di razionalizzazione e modernizzazione le cui dimensioni rendono complessa una sua analisi compiuta. Ma alcuni tratti che lo caratterizzano emergono nettamente.

Molti soldi

L’Italia, cui era stata destinata la fetta più grande, sarà il paese che utilizzerà di più e al 100% sia i sussidi a fondo perduto che i prestiti da rimborsare. Nessun grande paese farà questa scelta. Tutti useranno i contributi a fondo perduto, pochi i prestiti e tutti per quote minime.

Le condizioni sono vantaggiose, ma i prestiti di oggi sono i debiti di domani!

Tanti progetti

Quello italiano è un vero e proprio megapiano che tocca tutti i segmenti della struttura produttiva e sociale del paese con l’obiettivo di una «grande modernizzazione». L’uso massiccio di risorse che si è deciso di fare ha permesso, infatti, di assemblare progetti definiti che dormivano nei cassetti con altri che erano rimasti nel libro dei sogni e di impostarne tanti altri legati alla digitalizzazione.

In questo modo si è evitato di scegliere le priorità e di selezionare in base a criteri di costi-benefici e alle ricadute sociali ed occupazionali. Tanti progetti, forse troppi, ma la somma di tanti progetti fornisce una panoramica, non una visione.

Poco lavoro

Con questa l’idea dominante della modernizzazione si è finito per ridurre la creazione di lavoro ad obiettivo secondario, «derivato», dando per scontato che se si fanno investimenti la «ricaduta» occupazionale ci sarà automaticamente.

Sul tema lavoro, così, ci si è concentrati esclusivamente sugli aspetti normativi e formativi e sulla liberalizzazione-fluidità del mercato. In effetti pochi hanno spinto perché la creazione di lavoro fosse obiettivo- vincolo e solo il sindacato ha spinto per una condizionalità: favorire lavoro giovanile, femminile e nel sud per riequilibrare le disparità esistenti.

Manca perciò una dettagliata previsione degli effetti occupazionali per singolo progetto e del rapporto spesa-lavoro creato. Nell’insieme si possono stimare meno di 800mila occupati in più. Pochi, molto pochi, se si pensa che nell’ultimo anno ne sono stati persi 900mila e che altri se ne aggiungeranno all’uscita dalla pandemia.

E se si prova a confrontare il costo dei progetti emerge un rapporto occupati per miliardo investito molto sfavorevole all’Italia: 4 posti di lavoro per ogni milione di euro stanziato in Italia, contro i 12 di Francia e Spagna, 8 della Germania e 6 della Grecia (v. studio citato sul Foglio di sabato 8). Quindi crescita forse, ma senza lavoro.

Il futuro dell’Europa

Il procedere dei vaccini ci spinge a pensare al paesaggio sociale che troveremo man mano che ci metteremo alle spalle il buio del tunnel e cominceremo a guardarci intorno nella luce del giorno. Cercheremo allora di vedere se dalla crisi saremo usciti migliori o peggiori – lettura moralistica tanto alimentata dai media – o se, come abbiamo più volte scritto, ci ritroveremo con un’ulteriore segmentazione sociale.

Vedremo, cioè, se nel lungo processo di mutazione delle classi sociali si slitterà ancora verso gruppi sempre più piccoli ed individui sempre più soli. Dalle identità collettive a quelle di microgruppo, dalle classi agli individui. Il rischio potrebbe essere che mentre perseguiamo la sostenibilità ambientale esploda la in-sostenibilità sociale.

Rischio calcolato? Draghi ha spinto molto, proprio in questi ultimi giorni, sia sul potenziamento e prolungamento del Sure, lo strumento europeo a sostegno della disoccupazione che su un impegno a non ritornare a breve ai vincoli di bilancio sospesi per la pandemia.

Viene da pensare che la crescita – senza lavoro, ma con altri debiti – che stiamo perseguendo, richiederà un’Europa sociale che si faccia carico del costo dei processi di modernizzazione e che questo lo preoccupi tanto da preannunciare un nuovo terreno di conflitto in Europa. E che egli voglia applicare su questo terreno la teoria praticata nella pandemia: il rischio calcolato.

Insomma se la modernizzazione deve essere perseguita l’Europa deve farsi carico anche dei rischi che essa comporta.

Ma l’Europa non è ancora questa entità solidale e se nel Pnrr è previsto che prima che i finanziamenti divengano denaro liquido occorre far partire le riforme – fisco, giustizia e semplificazioni innanzitutto – ciò significa che la logica delle condizionalità (altro che Mes!) non è stata accantonata.

Vedremo nei prossimi mesi che significa «mettere a terra» quelle riforme andando oltre i titoli e le intenzioni. E vedremo anche se, finito il primo tempo con il varo di un Pnrr affidato tutto ai tecnici mentre i partiti sugli spalti giocavano ad alzare bandierine e striscioni, nel secondo tempo le forze progressiste, entreranno in campo con le loro idee ed i loro progetti di futuro.

Che la politica cominci, insomma. Ma facendo un grande salto di qualità per essere all’altezza di questa grande sfida. Altrimenti Draghi forever. E che dio ce la mandi buona.