Ridere con Cecov ridere di Cecov. Claudio Morganti mette a tavola gli 11 titolari del Gla (Gruppo di lavoro artistico), la squadra del Metastasio che si è allenata nel lockdown, e al Fabbricone festeggia Le nozze, scrittura giovanile del Nostro (1890) naturale seguito di Una domanda di matrimonio. Si aspetta un Godot che ne certifichi, esaltandola, la loro meschinità. Cecov si destreggia fra una portata e l’altra con acida ironia, simulando la nevrosi di «apparire», costi quel che costi. Morganti coglie lo spunto che si agita in quella società dell’immagine ante litteram e lascia liberi i suoi (all’interno di uno schema studiato a tavolino) di smarcarsi al centro e improvvisare sulle fasce. Pare che gli attori si siano divertiti a dribblare il senso di Cecov per la farsa. E il pubblico? Così così. A giudicare dalla prima. Poi ci dicono con le repliche il tasso di ilarità è cresciuto. Noi, per quel che può valere, abbiamo sofferto una certa impazienza ripetitiva, come di figurine leziose, una corte dei miracoli diluita nel canzoniere del vaudeville, lontana dalla claustrofobia dolente del mondo cecoviano ma sopratutto dall’allucinata, urticante percorrenza emotiva cui Morganti ci aveva abituato.