Sono trascorsi 100 anni dalla nascita di Giorgio Strehler e 40 dalla prima della sua regia de Le nozze di Figaro, che il Teatro alla Scala di Milano ripropone in ricordo del maestro e per celebrare il ritorno del pubblico in sala e dell’orchestra in buca per l’allestimento scenico di un’opera, dopo il vuoto interminabile imposto dal Covid. Al posto dell’allora quarantenne Riccardo Muti sul podio c’è il poco più che quarantenne Daniel Harding, che, a differenza del suo illustre predecessore, alla varietà di ritmi e dinamiche chiesta dallo sviluppo tutto nel tempo dell’azione preferisce l’omogeneità non non immune da rischi chiesta dal movimento solo apparente e perciò fuori dal tempo dei sentimenti. Quei moti dell’animo che Lorenzo Da Ponte e Wolfgang Amadeus Mozart catturano immoti in diagrammi verbali e musicali cristallini, iterativi, trasognati.

AL DI SOTTO dell’energia dinamica del Conte di Almaviva, Harding coglie la malinconia sempre uguale a se stessa generata dalla volubilità e dall’impermanenza delle loro intenzioni, dei loro affetti, dei loro ideali. Che sono la volubilità e l’impermanenza del melodramma, con i suoi eccessi e i suoi moralismi nel catturare la vita umana, e, soprattutto, sono la volubilità e l’impermanenza dell’umano. Il lungo adagio e mezzoforte di Harding, che propaga su tutta l’opera il carattere estatico delle arie della Contessa e di Cherubino, si integra alle scene spoglie di Ezio Frigerio e ai costumi dai colori tenui di Franca Squarciapino e mette la sordina alla regia di Strehler, che cercava di riscattare il libretto dallo stereotipo «giochetto di un falso diciottesimo secolo pudico, decente» esaltando la «sensualità nella musica, una verità di sentimenti che deve esprimersi con gesti e azioni», incarnata perfettamente da Cherubino, tratteggiato da Mozart come un ragazzo che «vuole andare a letto con qualcuno, non importa chi».

È STORIA nota che, quando Mozart e Da Ponte decisero di comporre l’opera, non si era ancora placato lo scalpore suscitato dalla commedia di Beaumarchais cui era ispirata, che aveva incontrato la ferma opposizione del re di Francia, che avrebbe esclamato: «Questa commedia non si rappresenterà: bisognerebbe distruggere la Bastiglia perché la sua approvazione sulla scena non fosse una pericolosa incoerenza». La commedia fu rappresentata nel 1786 e la Bastiglia presa nel 1789. La sbrigliatezza della trama, l’irruenza del meccanismo a orologeria della folle journée, i tratti di satira politica e di costume, in una parola il vitalismo incantato della giovinezza che Strehler aveva catturato insieme a Muti, in questo allestimento si trasformano nella pacatezza di una riflessione disincantata e senile, incarnata dalla voce sbiadita di Simon Keenlyside (Conte), splendidamente bilanciata dalle voci gagliarde ma sempre composte di Luca Micheletti (Figaro), Julia Kleiter (Contessa), Rosa Feola (Susanna) e Svetlina Stoyanova (Cherubino).