Sono 183 i candidati indigeni alle elezioni generali del 2 ottobre in Brasile, il 36% in più rispetto al 2018. È la risposta alla «minaccia esistenziale» rappresentata dal governo Bolsonaro. Il prossimo appuntamento elettorale è di straordinaria importanza per i popoli indigeni perché è in gioco il futuro delle comunità e della foresta amazzonica.

UNA RIELEZIONE di Bolsonaro viene vista come una «catastrofe» e, per la prima volta, le associazioni indigene brasiliane si sono mobilitate per costruire un percorso comune che superi la logica del passato in cui ogni popolo presentava i propri candidati.

La necessità di aumentare la presenza nel Congresso e nelle Assemblee dei 26 Stati, per occupare nuovi spazi di decisione e rappresentatività, ha spinto le associazioni a lanciare la «Campagna indigena», coordinata dall’Apib (Articolazione dei popoli indigeni del Brasile), che ha riunito 31 popoli. Secondo il censimento del 2010, l’ultimo realizzato dall’Istituto brasiliano di geografia e statistica, sono 900 mila gli indigeni presenti in Brasile, appartenenti a 305 popoli che parlano 274 lingue differenti.

La vastità del territorio non consente un rapporto diretto tra le comunità per definire strategie comuni. L’essere riusciti a mettere insieme 31 popoli per definire una strategia elettorale è considerato un successo straordinario.

Il confronto che si è sviluppato tra le associazioni regionali ha portato alla scelta di 30 candidati (12 per il Congresso e 18 per le Assemblee degli Stati) sui 183 che si sono presentati e che il movimento indigeno si impegna a sostenere.

SONO 16 SU 30 le donne candidate, espressione delle battaglie che hanno combattuto in prima fila in questi anni. Ed è una donna, Joenia Wapichana, eletta con la Rede nel 2018 nello Stato di Roraima, l’unica presenza indigena nell’attuale Congresso dominato dalla «bancada ruralista». Prima di Joenia, solo un altro indigeno era arrivato al Congresso, Mario Juruna, eletto con il Partido Democrático Trabalhista (Pdt) nel 1982 nello Stato di Rio.

In Brasile non esiste un partito che ha come principale obiettivo la difesa dei diritti degli indigeni e arrivare in Parlamento è molto difficile. Il voto indigeno non è sufficiente ad eleggere un deputato federale. I candidati si affiliano ai partiti, cercando consensi al di fuori delle comunità sui temi della difesa dell’ambiente e dei diritti umani.

«Dobbiamo unire le forze per sopravvivere e avere rappresentanza nelle istituzioni per continuare la nostra resistenza ancestrale» afferma Sonia Guajajara, coordinatrice dell’Apib, affiliata al Psol e candidata al Congresso. I 30 candidati indigeni sono affiliati ai principali partiti progressisti.

Nella Rede sono presenti in 11, nel Psol e nel Pt sono in 6, mentre il Pc do Brasil e il Pdt ne hanno 2 ciascuno. L’aumento delle candidature indigene si era verificato anche alle elezioni municipali del 2020 quando furono in 2210 a presentarsi, con l’elezione di 10 sindaci (prefeitos) e 44 consiglieri comunali (vereadores).

IL MOVIMENTO INDIGENO punta sulla vittoria di Lula per aprire un nuovo ciclo in cui possano trovare posto la causa indigena e la difesa dell’ambiente. Il sostegno a Lula da parte delle associazioni indigene è forte. Invitato alla manifestazione indigena «Acampamento Terra Livre» di Brasilia, l’ex presidente è stato a lungo acclamato mentre al suo fianco sedevano Joenia Wapichana e Sonia Guajajara.

In passato non sono mancate forti critiche da parte delle associazioni indigene sulla politica ambientale del suo governo. In particolare, fu la costruzione della centrale idroelettrica di Belo Monte, nel Parà, voluta da Lula e completata durante la presidenza di Dilma, a determinare la frattura più grave.

La forte opposizione delle popolazioni indigene, le pressioni delle associazioni ambientaliste e delle comunità religiose non furono sufficienti a impedire la costruzione dell’opera che ha avuto e continua ad avere un grave impatto sulle numerose comunità indigene del bacino del Rio Xingu.

«Appoggiamo Lula, ma non dimentichiamo Belo Monte» dichiara Sonia Guajajara. Lula in queste settimane, soprattutto dopo l’assassinio in Amazonas dell’indigenista Bruno Pereira e del giornalista inglese Dom Phillps, ha espresso più volte la volontà di riprendere il processo di demarcazione delle terre indigene interrotto da Bolsonaro e riportare la questione ambientale al centro del suo programma. Appare difficile, tuttavia, tenere insieme la difesa dell’ambiente e gli interessi dell’agrobusiness.