Si è appena conclusa al Filmstudio di Roma la rassegna di cinema omosessuale iniziata il 3 novembre (che sarà probabilmente proiettata anche in altre città). Ha avuto un pubblico doppio. Da una parte persone che in genere non frequentano i cineclub e che si aspettavano film pornografici. La delusione si manifestava in rumoreggiamenti (commenti grevi come «aridatece li sordi»). Dall’altra, cinefili che volevano dei film da apprezzare non perché pornografici ma benché pornografici. Anch’essi molto spesso sono rimasti delusi.

Il cinema omosessuale è in una fase di trapasso (o forse addirittura di nascita). Finora s’è identificato col cinema pornografico (non pornografico era solo un cinema sugli omosessuali, non – tranne rare eccezioni – cinema degli omosessuali) ma ormai ci sta stretto. Nelle sale specializzate in pornografia le cose sono più semplici. Si tratta di soddisfare una richiesta precisa. All’interno dei limiti dati dal genere può succedere allora di trovare dei piccoli capolavori più o meno inconsapevoli. Quando il prodotto-film si modifica per diventare cinema «di qualità» e/o politico, e cerca altri spettatori e altre sale, le cose si complicano. Questa rassegna, curata da Rony Daopulo, si propone di «decolpevolizzare, destabilizzare, disconnettere, despecializzare questo cinema». I risultati non potevano non essere contraddittori. Le strade da percorrere possono essere quella del cinema militante oppure quella di ribaltare il sistema di valori culturali dominanti (cioè maschili) senza farsi relegare in un ghetto produttivo di serie b. Estraiamo alcuni film emblematici dalla ricca rassegna, divisa in «sottogeneri» (erotika omosessuale, cinema desiderante, travestitismo parigino, cinema misogino, pederastia).

La cité des neuf portes (La città delle nove porte, di Stéphane Marti, Francia, 1977) è presentato dal programma come «un affresco, una sinfonia di colori e di forme, un concerto per corpi maschili, nudi o travestiti». Cioè un film d’arte e quindi kitsch e deteriore. Con l’accompagnamento prima di una musica ossessiva, poi di un bellissimo Kyrie (da una messa cantata barocca) poi di una musica elettronica ritmata, si intrecciano brandelli di fantasmi «tipici» del desiderio e della proiezione omosessuale. Che sesso ha una faccia blu contratta da un ringhio, un’unghia scarlatta, una bocca tanto vermiglia da parere nera, una gola pulsante da cui cola un sangue palesemente posticcio? L’uso del trucco, i corpi sciabolati nell’oscurità dalla macchina da presa, ricordano il teatro di Memè Perlini, ma più noioso.

La banque du sperme (La banca dello sperma, di Chabal e Genet, Francia 1977) tenta di evadere dall’iterazione necessaria alla pornografia con il comico. L’effetto è penoso. Un infermiere/a baffuto/a e sculettante estrae con abili manipolazioni lo sperma da baldi giovani. Provette, candore di grembiali, la vecchia delle pulizie che beve avida il liquido e viene cacciata a pedate. Non si sorride nemmeno.

Il desiderio omosessuale è politico: ma Le sexe des anges (Il sesso degli angeli, di Lionel Soukaz, Francia 1976) vuol esprimere questo politico con declamazioni parlate fuori campo anziché usando il mezzo filmico. Si assiste allora a una strana dissociazione tra immagine e parlato-musica. Al minorenne Bruno il sesso è negato da famiglia, patria, scuola. I suoi sogni attraversano tutti gli stereotipi attribuiti all’omosessualità. Due adolescenti, l’uno vestito di bianco l’altro di nero, giocano a scacchi in una stanza bianco-nera. Ad ogni pezzo mangiato sulla scacchiera, viene tolto un capo di vestiario, fino alla nudità e all’amore (lo scacco matto). Due marinai ballano sul ritmo di una canzone di Edith Piaf. E così via. Fuori campo, la voce didascalica continua a rivendicare il diritto degli adolescenti al godimento. Senza questo commento il film sarebbe piacevolissimo.

L’italo-argentino Oscar Melano dice di aver girato un film «antifemminista» (Alla più bella – il pomo della discordia, 1975) o forse misogino. La matrigna di Biancaneve incastona nel suo specchio magico il mito delle tre dee e del pomo. Paride, un «bel ragazzo» stile modello da barbiere, scambia per Elena un fanciullo mulatto. La regina viene trasformata in gallina.

Un urlo di 20 minuti è La tasse (La latrina, di Michel Nedjar, Francia 1977) . Un brivido corre per la platea vedendo l’osceno vecchio travestito che si rotola laidamente in sottoveste con la bocca impiastricciata di rossetto. «Sarò anch’io così»?

(23 novembre 1977)