Nei mesi dopo la fine del Muro di Berlino insieme al paesaggio di vita quotidiana della Germana est, che allora si chiamava Ddr- la Repubblica democratica tedesca – alle discussioni, alle voci politiche e a quelle dei cittadini che passavano dall’«altra parte» senza più check-point e Vopos (la polizia della Germania est), abbiamo cominciato a scoprire le immagini – anzi l’immaginario di quel Paese.

Un cinema che respirava le stesse urgenze nouvelle vague della Germania ovest, capace di raccontare la vita quotidiana nella spensieratezza e nella cappa del controllo di regime che costringeva i registi a capriole e acrobazie tra le infinite trappole della censura, i divieti, le imposizioni, le regole. Era una cinematografia di stato, dunque non erano permesse critiche nemmeno in forma di metafora, e quando la grana della pellicola mostrava personaggi o riflessioni troppo ribelli o spudorate i film venivano bloccati. Il che accadeva quasi sempre.

La Defa, a cui faceva riferimento l’industria cinematografica e dell’audiovisivo tedesco-orientale, li produceva ma poi, una volta finiti, venivano chiusi nelle celle frigorifere rimanendo invisibili e destinati a essere dimenticati per sempre.
Ricordo lo stupore alle prime visioni, e insieme lo spaesamento di molti di quei registi che erano stati abituati a lavorare in un sistema statale, e una volta crollato questo si trovavano all’improvviso non attrezzati alla nuova situazione, o specie chi faceva documentari alla nuova realtà che imponeva di confrontarsi con un mondo radicalmente differente.

La fine del Muro ha liberato i meravigliosi film di Thomas Heise, narratore punk di una realtà dolorosa e irriverente, o di Volker Koepp che continua ancora oggi a filmare il territorio tedesco lungo le linee dei vecchi e dei nuovi confini, segni di una Storia ancora viva (e spesso irrisolta) nel presente.

E poi tutti i «Film dei Conigli» come erano stati soprannominati i film della Ddr prendendo spunto da quello che ne divenne un po’ il manifesto, Das Kanichen Bin Ich (Il coniglio sono io) di Kurt Maetzig (1965) ispirato al romanzo di Manfred Bieler – Maria Morzack oder das Kanichen Ich Bin vietato anch’esso; la storia di una ragazza che non può iscriversi all’università perché il fratello è in carcere accusato di sovversione. Il film venne ferocemente attaccato e bollato come revisionista e «decadente» fino appunto all’89.

L’occasione per rivederlo, o per scoprirlo nel pubblico più giovane – anche perché questi film non è che hanno avuto una circuitazione costante – è la bella rassegna che parte oggi a Roma (Palazzo delle Esposizioni, ingresso libero fino al 28 maggio) «C’era una volta il Muro» – apertura con Il cielo diviso di Konrad Wolf – un’incursione nella cinematografia della Ddr con molti capolavori imperdibili (la Germania degli anni sessanta e settanta insomma non era solo Fassbinder, Wenders o Kluge).

Tra questi c’è un altro film leggendario, Karla (proposto alla Berlinale nella retrospettiva dello scorso anno) di Hermann Zschoche (1965-1990), anche questo censurato fino alla caduta della Germania est. La protagonista è una giovane insegnante che cerca di introdurre nella didattica metodi nuovi, che ovviamente si scontrano con le imposizioni del regime, e per questo viene cacciata. Nel 1963 l’Ufficio politico sembrava avere optato per una maggiore disponibilità verso le richieste di apertura dei più giovani di cui la figura della protagonista esprime desideri e rivendicazioni. Ma il tempo di finire il film le cose erano già cambiate, e così dopo molti tagli Karla venne definitivamente «archiviato».

Da non perdere anche un altro grande classico del cinema tedesco, Ich War Neuzehn (Avevo diciannove anni), romanzo di formazione sessantottino che nella figura del giovane protagonista, un ex soldato tornato a casa dalla Russia del 1945, racconta i conflitti interni della Germania nel dopoguerra e quei vuoti di un tempo che a lungo è stato rimosso.