Il festival Angelica n. 27 chiude con due concerti che hanno come protagonista Roscoe Mitchell. Non solo lui ma principalmente lui. Sulla carta l’immenso solista, compositore, leader dell’Art Ensemble of Chicago è la miglior conclusione desiderabile. Ma occorre valutare qualche inconveniente, diciamo. La prima sera qualcosa non funziona bene. Mitchell e Francesco Filidei in coppia improvvisativa nella Basilica di Santa Maria dei Servi. Dove si trova l’organo Tamburini, costruito nel 1967. Uno strumento che viene considerato tra i migliori al mondo. Filidei è compositore tra i più interessanti e singolari nella generazione dei quaranta-cinquantenni. Rumorista, gestuale, capace di invenzioni dada e di scritture raffinatissime. È anche organista provetto. Che cosa l’abbia indotto a fare il controcanto tonale sulle tastiere del Tamburini agli itinerari informali estremi di Mitchell al sax soprano non è chiaro. A farlo in quel modo. Didascalico, retorico, pomposo. Non è mica il fondo in armonie blues di Malachi Favors (quando era vivo) alle sortite avant-garde del compagno Roscoe dell’Art Ensemble! Altra storia.

Mitchell inizia con suoni singoli acuti sottili vitrei. Ogni suono sta a sé. Meraviglia. Filidei lo accompagna con un arpeggio semplice semplice che fa pensare ai Goblin di Profondo rosso. Uhm. L’organista infittisce il suo discorso con ostinati molto thriller. Ci si inoltra nella zona centrale della performance. Quella di un convulso e cerebrale Mitchell che viene coperto da certi «pieni» dell’organo tipo parroco impegnato in una funzione «per la gloria del Signore». Mitchell acusticamente sommerso e musicalmente oppresso. In tutto il lungo finale abbiamo di nuovo, per fortuna, un Mitchell in primo piano, immerso in una sorta di riflessione sonora interrogativa, un aggirarsi nei dintorni del perturbamento e della solitudine. Ascoltiamo solo lui. La seconda sera è per il Mitchell compositore in senso stretto (accademico, se vogliamo) e per un collega ancor più celebre e collaudato in quella veste che si chiama Sylvano Bussotti. Orchestra del Teatro Comunale di Bologna a disposizione.

Sul podio Tonino Battista. Mitchell compositore per organici di media ampiezza formati da improvvisatori con background jazzistico lo abbiamo conosciuto e molto apprezzato, per esempio in Composition/Improvisation n. 1,2&3 (2004) e in Cards for Orchestra. Made in Chicago (Festival di Sant’Anna Arresi, 2009). Qui la faccenda è diversa. Si tratta di partiture per grande orchestra sinfonica con parti minime riservate all’improvvisazione in due dei quattro movimenti di una sorta di suite intitolata Conversations for Orchestra.

In tutti i brani l’eclettismo della scrittura è notevole. Ci sono echi di musica americana primo ‘900 (Barber, Ives?), trasposizioni in sequenze nervose e un po’ ansiogene del lessico solistico più radicale dell’autore. L’insieme lascia una sensazione di inadeguatezza, di un tentativo di fare un mestiere nuovo non si sa quanto amato. Tra gli improvvisatori: ottimi Gianni Trovalusci ai flauti e lo stesso Mitchell al sax soprano, straordinario in poche note il vocalista Thomas Buckner. Ma Bussotti in prima mondiale con Violoncello Obbligato e Orchestra (solista Nicola Baroni): ecco uno che conosce la scrittura musicale «dotta» e ottiene il risultato. Duro e voluttuoso, pieno di avanguardismi «storici» e di sornione romanticherie.