Nel rapporto cinema musica un filone che non viene mai ricordato, è l’erotico, anche nella sua versione più estrema, il porno.
Ovviamente non si sta parlando di ambiti alla Joe Cocker mentre Kim Basinger si spoglia davanti a un Mickey Rourke non ancora deturpato dalla sua vita spericolata, ma di un sottomondo denominato porno musical, ossia gli erotici canterini e persino le biografie non autorizzate in versione hardcore di illustri compositori classici.
Michael Pataki è uno dei tanti caratteristi che hanno reso grande il cinema Usa: attivo fin dal 1958, ha interpretato ruoli, a volte anche importanti, in serie come Batman, Colombo, Beretta e persino in film come il Rocky 4 di Stallone. Il problema principale è che, come tutti i caratteristi, bravi ma anonimi, il pubblico non se lo ricorda e lo confonde con questo o quell’altro attore, a sua volta confuso con altri. La sua fama però non verrà tramandata nei secoli per le sue capacità recitative ma per essere il regista di Cinderella nel regno del sesso, folle «erotico canterino» del 1977.
Il film, a scanso di equivoci, è una stupidata abissale con una trama delirante, situazioni comiche che non fanno quasi mai ridere, costumi degli attori miserabili, ma anche pezzi musicali molto orecchiabili.
IN EQUILIBRIO 
Cinderella non sfocia mai nel porno, ha moltissime scene di nudo, è scorretto nei temi azzardando persino l’incesto tra due sorelle, ma resta sempre in quell’equilibrio tra un genere nobile come l’erotico e un genere basso come l’hardcore.
La cosa che stupisce e lascia di stucco, però, è che ci si potrebbe aspettare di tutto da un film che si chiama come una versione hard della favola di Perrault, ma di certo non un musical. Invece, ad appena dieci minuti, ecco che la povera Cenerentola, vessata dalle crudeli sorellastre Drucella e Marbella, si mette a intonare la strofa della prima canzone I Wonder, scritta da Andrew Belling: «Cenerentola, continua a lavorare per tenerti lontano dal sesso».
Oltretutto l’attrice protagonista Cheryl Smith (morta nel 2002 di epatite) è proprio intonata, ha carisma mentre canta e balla, più un’avvenenza che, purtroppo per lei, né toglierà né aumenterà un talento che non la porterà in produzioni più meritevoli.
In qualsiasi modo Cinderella è un film dalle due anime: odioso nel suo essere un noioso film erotico, travolgente nella sua dimensione musical con momenti davvero eccitanti come la performance di Sy Richardson, nel ruolo gay macchiettistico della Fata Madrina, che intona la sua Grab It dai toni molto funky anni ’70. Alla fine i pezzi musicali sono così riusciti che, anche un film scombinato come questo, riesce alla lunga a risultare attraente. Ci scappa persino una risata quando Cenerentola seduce il suo principe azzurro facendo sfoggio, durante un amplesso, di una «topina snapping», qualunque cosa significhi, con tanto di rumori di ingranaggi e pistoni mentre i due hanno un incredibile orgasmo.
A produrre questo gioiellino del cinema indecente e inqualificabile è Charles Band, creatore negli anni ’80 della Empire/Full Moon, una tra le più importanti case Usa produttrici di horror, tutt’ora attiva.
Cinderella nel regno del sesso dovette avere anche un discreto successo tanto che l’anno dopo, nel 1978, si mise in cantiere un film simile, Pornorella, musiche sempre di Andrew Belling, stessa produzione, cambio solo di regista e attrice, e con il divertente e talentuoso Sy Richardson ancora della partita. A girare stavolta è l’ancor meno efficace Harry Hurwitz, al quale spetta il compito di mettere in scena un’altra favola, La bella addormentata nel bosco, almeno come spunto di partenza perché la trama è pura anarchia al potere!
CORTIGIANI
Ci si immagina che il principe di un regno fatato (Don Sparks) sia afflitto da una grave impotenza: a nulla servono le ragazze che gli si offrono o il supporto dei cortigiani canterini. L’unica persona che può curarlo è una fanciulla vittima di un incantesimo, ma per arrivare a lei il nobile dovrà affrontare mille avventure, incontrare altri personaggi delle fiabe e, naturalmente, ballare scatenato tra un nudo di donna e l’altro!
Il titolo originale, d’altronde, è Fairy Tales e nessuna Pornorella ne è protagonista, fantasia questa dei nostri titolisti che per esempio potevano far diventare l’horror anni ’70 Virgin Witch, un Messe nere per le vergini svedesi senza che dentro ci fossero né vergini né tantomeno svedesi.
Questa volta, a differenza di Cinderella nel regno del sesso, la favola hardcore è meno riuscita nei pezzi musicali ma, per controbilanciare, la storia, pruriginosa e grottesca, convince e diverte, a patto di accettare le tante demenzialità. Per esempio troviamo una ridanciana Biancaneve alle prese con nani dalle mani lunghe, vestiti con pigiami a righe tipo carcerati e nasi finti da elfi. Trovare una logica però è inutile visto che ad un certo punto ci si imbatte nella Sherazade de Le mille e una notte intenta in uno spogliarello poco favolistico.
Tra le canzoni spicca You’ll Feel the Magic in Me, travolgente brano disco music, cantato da Martha Reeves, grande vocalist del gruppo soul Motown Martha and the Vandellas; la canzone rimanda alle cose migliori ascoltate in Cinderella nel regno del sesso. Si racconta che la cantante, presente soltanto nel momento musicale, si accorse solo in seguito di essere finita in un film scollacciato: lo scoprì con vergogna quando, entusiasta, portò al cinema il suo gruppo di preghiera!
AL CABARET
Pornorella ha pezzi melodici coreografati davvero malissimo, deliranti, così tanto da arrivare a sfiorare il surrealismo alla Jodorowski, con fatine sfatte che ballano in mutande e gatte sadomaso che si lanciano in pezzi da cabaret anni ’50, un film che diventa esperienza incredula, una cosa che a 10 anni avresti raccontato, dopo una visione corsara e proibita, agli amici di scuola davanti ai loro sguardi sconcertati. Pornorella chiuderà il ciclo favole scollacciate per la Charles Band Production; qualche anno prima, nel 1976, la Cruiser Productions avrebbe affidato a Bud Townsend la regia di Alice nel paese delle pornomeraviglie (Alice in Wonderland: An X-Rated Musical Fantasy), non un erotico, ma un vero hardcore basato sul libro del religioso Lewis Carroll.
Per il regista dal passato di qualche buon horror di serie B e un futuro di commedie tipo L’allenatrice sexy con la splendida Cathy Lee Crosby, la Wonder Woman più sfortunata della tv, si tratta dell’unico porno. Quello che stupisce però non è il coinvolgimento di Townsend nell’operazione ma quello dell’attrice protagonista, la bionda e graziosa Kristine DeBell, al suo debutto al cinema, conosciuta al grande pubblico soprattutto per tre film, Chi tocca il giallo muore (1980) con Jackie Chan, Polpette (1979) con Bill Murray e 1964: Allarme a N.Y. arrivano i Beatles! (1978) di Robert Zemeckis, ma all’epoca, nel 1976, soprattutto una tra le più quotate modelle d’alta moda, non proprio il profilo più tipico di un’attrice porno.
Sarà comunque la sua unica incursione nel genere, una pellicola che non ripudierà ma che non citerà mai in nessuna intervista. La cosa che spicca nel film è proprio Kristine DeBell, voce fantastica, un km sopra ogni altro collega presente nel cast, uno spettacolo canoro a cominciare dal primo motivo che intona, Growing up.
Alice nel paese delle pornomeraviglie è nel suo genere un gioiellino: pensato come un vero film, anche nella regia e nelle interpretazioni, è una pellicola che funziona pure senza scene hardcore, è divertente, colorato e folle per come rivisita il classico di Lewis Carroll in chiave moderna e sessualizzata.
90 MILIONI 
Molto camp certo per i costumi degli attori, ma così strambo e stralunato da portare nelle tasche del suo produttore William Oslo (Flesh Gordon – Andata e ritorno… dal pianeta Porno!, 1974) ben 90 milioni. Non solo: nel 2004 viene persino portato a teatro, senza il sesso esplicito, in un musical Off-Broadway a New York di grande successo. Non male per un genere di basso profilo come il porno. Il cinema porno ed erotico musicale naturalmente non inizia con Alice nel paese delle pornomeraviglie (da non confondersi, tra l’altro, con l’omonimo film hardcore di Luca Damiano del 1993 di bassissimo profilo), ma ha un illustre pioniere nel bellissimo Lungo la valle delle bambole (Beyond the Valley of the Dolls) di Russ Meyer, tra i registi più sottovalutati di sempre.
LA VENDETTA
Con frasi a effetto come «berrai lo sperma nero della mia vendetta!», parte quello che sulla carta avrebbe dovuto essere un seguito del melodramma di Mark Robson, La valle delle bambole, e diventa a tutti gli effetti un’opera schizofrenica, una dissacrante e inaspettata satira dello star system statunitense. Beyond the Valley of the Dolls butta in faccia allo spettatore, con la stessa forza pulp e sovversiva del Tarantino anni ’90, sangue e sesso in un mix che shakera i delitti di Charles Manson con i sogni musicali di tre ragazze. Con queste premesse debutta sulle scene il primo «Rock-camp-horror-exploitation-musical» della storia del cinema, qualcosa di ancora così azzardato e moderno da non avere metri di paragone. Definito dal suo stesso regista «il mio capolavoro di sesso e violenza», la pellicola incassò dieci volte il suo costo di produzione e nel 2001 fu inserito dalla rivista Village Voice tra i 100 migliori film del secolo scorso. In più abbiamo pezzi musicali travolgenti che passano dal rock al melodico con l’uso superbo di violini e flauti fino a toccare le corde azzardate dello swing, il tutto sublimato dalla straordinaria Lynn Carey delle Mama Lion che nel film presta la voce a Dolly Read, inteprete principale della pellicola di Meyer.
Per il suo stile smaccatamente camp, il film fu capace di influenzare decine di band musicali a venire come i Murderdolls che nel 2002 intitolarono il loro album d’esordio Beyond the Valley of the Murderdolls. Lo stesso personaggio di Frank-N-Furter, nell’incarnazione del Rocky Horror Picture Show (1975), si ispira nel look allo Z-man trasgender, con corona, stivali dorati, abito viola e mantello rosso, interpretato dall’istrionico John La Zar.
Negli anni, però, di questi bizzarri esperimenti sexy musical ne sono stati fatti davvero pochi e la maggior parte delle volte, come nel caso di Country Hooker del 1974 di Lew Guinn, sono risultati non solo di livello poco ispirato ma anche pochissimo divertenti.
E però, saltando in là nel tempo, ecco che nel 1999 uno dei registi più quotati del genere porno Usa, Michael Ninn, gira uno stupefacente Cashmere, primo esempio di hardcore musical ispirato agli anni ’60.
La regia utilizza con sapienza il linguaggio dei videoclip, schizzato e velocissimo, alternandolo a un cinema pop, colorato e kitsch che non può non ricordare il David Lynch del magnifico Cuore selvaggio.
La vicenda raccontata da Michael Ninn è sorprendentemente una storia d’amore, una passione tra un uomo e una donna – lei si chiama Penny Lane, come la canzone dei Beatles – che si protrae per tutti gli anni ’60, tra juke boxe, macchine alla Grease e capelli vaporosi, fino al non scontato finale amaro. Quello che stupisce di Cashmere è il suo essere una mosca bianca nel porno anni ’90: un’opera intensa che non rinuncia alla sua sessualità per parlare di sentimento, una bizzarria da Cahiers du cinema, densa di riferimenti culturali e cinematografici, che spiazza nel suo mettere in scena vere orge sfrenate al ritmo di melodie che ricordano i Platters.In questo musical hardcore tutte le canzoni, la migliore è il doo-wop di Don’t Tell Me, sono cantate da Lauren Alexander, su testi dello stesso regista e del fratello Dino.
Il cinema di Michael Ninn è ancora incredibilmente sconosciuto ai più, un cinema che trascende la pornografia, estremamente autoriale con tematiche che si ripetono film dopo film, come l’amore folle vissuto da personaggi che sembrano usciti da un melodramma di King Vidor più che da un videonoleggio porno. In Cashmere spiccano per presenza scenica le magnifiche Vicca e Nikita, prezzemoline del cinema hardcore anni ’90, e la fulgida Kylie Ireland, doppiata mentre canta il suo amore disperato come fosse uscita da un sogno bagnato di un fan di Twiggy.
MAI VISTO 
Tra le biografie più riuscite sulla vita di un musicista c’è senza dubbio il film di Milos Forman, Amadeus. Grazie a questa pellicola vincitrice dell’Oscar, si è amato Mozart nel suo complesso, uomo e artista, e non solo per le sue opere (sul finire del 1700 esordirà con Die Zauberflöte, Il flauto magico. Se Amadeus era un’opera riuscita, al contrario il film su Beethoven, L’amata immortale di Bernard Rose, risulterà fin troppo superficiale. Il bene e il male però si assottigliano quando lo studioso più avventuroso scopre l’esistenza di un misconosciuto porno dal titolo Amadeus Mozart, diretto da uno specialista del genere, Joe D’amato. Dietro questo pseudonimo si cela Aristide Massaccesi, uno tra i nostri registi più abili nel dimenarsi con una certa grazia tra tantissimi filoni, dal film di guerra (Eroi dall’inferno, 1973) all’horror (stupefacente il suo La morte ha sorriso all’assassino, 1973), in una carriera di quasi 200 pellicole firmate con i più svariati alter ego.
TEMI DIVERSI
Si impose come nome importante del panorama della serie B soprattutto per gli erotici della sua Emanuelle nera, interpretati dalla bellissima Laura Gemser, ma fu anche un produttore e un notevole direttore della fotografia. I suoi porno, tanti e dai temi diversi, sono un po’ però anche le pellicole più deboli della sua filmografia, girati distrattamente e senza estro. Di sicuro Amadeus Mozart del 1995 si rivelerà una delle sue opere hardcore più divertenti insieme a quella follia in costume che è stata Robin Hood (La leggenda sexy).
La trama è puro delirio senza controllo: la musica di Mozart ha un effetto erotico sulle giovani dame trasformandole in vere ninfomani. Questa abilità fa scattare l’invidia di Salieri, compositore rivale, perché lui si impegna pure, ma non cava un ragno dal buco; le giovani sono annoiate e l’unico modo per concludere è spacciare per sue le opere del rivale. Alla fine, con un sotterfugio degno di un fotoromanzo, metterà il dotato Amadeus in cattiva luce davanti agli occhi di una non meglio qualificata sovrana (vestita come Maria Antonietta) che lo farà decapitare.
IL COMMIATO
Mitiche le frasi pronunciate da Mozart alla regina («il mio flauto non è accordato con la tua viola») e il commiato prima dell’esecuzione («un brindisi alla musica e alle belle donne»). Amadeus Mozart di Joe D’Amato è sicuramente un brutto film, ma un brutto film esilarante che bilancia una scarsa voglia del regista nel riprendere gli amplessi con trovate divertenti nella trama e personaggi azzeccati, come il boia interpretato da un incredibilmente gigionesco Sean Michaels, attore che i fanatici del genere ricorderanno come lo sceriffo di Nottingham in Robin Hood (La leggenda sexy). Se comunque gli interpreti sono per lo più stoccafissi, compensano le varie attrici, dive del porno italico anni ’90, come la bellissima Deborah Wells o la bionda Kelly Trump.
Infine nel 2004 una delle attrici più famose degli anni ’70, Veronica Hart, gira, come regista, Misty Beethoven the Musical!, film porno con momenti cantati e ballati, ispirato a un hardcore di culto di Rudley Metzger, A bocca piena (Opening Misty Beethoven) del 1978. Si tratta di un’opera di poco conto con coreografie mediocri, melodie banali e un imbarbarimento del plot originale impensabile. Da notare che proprio Opening Misty Beethoven è conosciuto per essere, insieme ai cult movie Gola profonda e Devil in Miss Jones, uno dei migliori hardcore di sempre: perfetto così come è stato concepito.
Da notare che Misty Beethoven the Musical! dovrebbe essere l’ultimo film harcore musicale di cui dare conto ma il condizionale è d’obbligo considerando che il porno è un genere tentacolare con titoli usciti e subito morti nello streaming, un universo parallelo al cinema normale, mai catalogato o davvero documentato. Ragion per cui, un’ultima, imperdibile follia, potrebbe essere sempre dietro l’angolo, hard o soft.